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Recensioni
Baby Driver – Il genio della fuga
A cura di Federica Rizzo

 

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Dopo la Trilogia del Cornetto e Scott Pilgrim vs The World, Edgar Wright torna dietro la macchina da presa per dirigere Baby Driver, un’opera assolutamente nelle corde del regista britannico che riesce addirittura a superarsi e a regalarci un film che sa coniare divertimento, azione ed intrattenimento. Baby (Ansel Elgort) è un giovane pilota che deve saldare un debito con un grande boss del crimine, Doc (Kevin Spacey), e si trova pertanto costretto a mettere a disposizione della mala le proprie eccezionali doti di guida, stando al volante in una serie di rapine, a fianco di personaggi stravagant. Quando però il giovane Baby si innamorerà di Debora (Lily James), cercherà in tutti i modi di uscire da quella pericolosa vita che non ha mai sentito come sua.
Con la leggerezza studiata al dettaglio dei suoi stunt, Baby Driver – Il genio della fuga, vola tra i generi, partendo dagli action anni 80 fino alla New Hollywood, soffermandosi ossessivamente sul musical degli anni d’oro. Proprio la musica è la vera e assoluta protagonista del film. Baby Driver è una sorta di musical atipico: i personaggi non interrompono il flusso narrativo per lanciarsi in esibizioni canore, ma le note emesse dalle cuffie di Baby scandiscono ogni movimento dei criminali, costituendo la colonna sonora perfetta per le loro azioni dissolute. Il mondo di Baby si muove al ritmo della musica pop, autentico rifugio e ancora di salvezza per il protagonista.
L’architettura costruita da Edgar Wright è visiva e aurale allo stesso tempo: per il regista importante risulta essere la logica del montaggio e lo spazio ricostruito attraverso i tagli; una contrazione del tempo nel quale l’umanità dei personaggi emerge dai gesti solo apparentemente automatici, nei sogni anni cinquanta del protagonista, nella collezione di audiocassette analogiche, in un tempo recuperabile solo attraverso lo storytelling delle canzoni e nel continuo riferimento alla musica come fuoco per l’anima.
Quasi due ore di umorismo, dialoghi taglienti, pulp e azione. Il tutto diretto con sapiente maestria, con una tecnica impeccabile messa al servizio della narrazione. La perfetta commistione tra immagini e canzoni, valorizzata da un montaggio eccellente, rappresenta la più evidente cifra stilistica che Edgar Wright ha utilizzato per far spiccare la sua opera rispetto allo standard dei film d’azione