CHERUBINO CORNIENTI

“…Nel 1948, dopo aver partecipato alle cinque giornate di Milano, tornò a Roma, dove ebbe modo di stringere amicizia con il pittore russo Karl Pavlovic Brjullov, residente in Italia e ce lo influenzerà molto nelle sue opere…”

A cura di Alba Maria Massimino

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Nacque a Pavia il 25 Marzo 1816 da Luigi e Paola Marazzi.

I genitori, considerando le capacità artistiche del figlio, desiderarono alimentare l’iinata vena artistica del giovane che, all’età di dodici anni, accompagnato dal fratello Giuseppe, incisore, si trasferì a Milano per studiare pittura. L’artista si iscrisse all’Accademia di Brera dove subì il fascino delle incisioni di Hayez.

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Dal 1835 al 1838 fu un susseguirsi di riconoscimenti, da parte della critica, nelle varie esposizioni delle sue opere. Però, solamente nel 1839 poté arrivare nell’ambito premio di disegno avente come tema proposto: Enrico Dandolo in S. Marco, per assumere il comando della IV crociata”.

Nel 1842 inviò all’Accademia di Venezia un quadro storico dal titolo “L’ultimo addio di Paolo Erizzo alla figlia”, per concorrere ad un concorso di pittura.

La tematica raffigurata dall’artista, non molto nota, narra un episodio di storia veneta avente come trama la condanna a morte di Paolo Erizzo, difensore di Negroponto, da parte di Mehemet II, il quale morì tra atroci sofferenze per essere segato vivo.

Ci sono pervenute due opere raffiguranti lo stesso episodio. Un primo bozzetto esprime tutta la drammaticità dell’accaduto per i molti personaggi disponibili in primo piano. La fanciulla, il cui candido vestito contrasta con il colore degli abiti degli altri personaggi ed il colore steso in maniera vibrante, fa aumentare il pathos in tutta la scena. Lo stesso racconto fu poi riportato su un’altra tela dall’artista che riesce ad evidenziare l’effetto cromatico dei suoi personaggi.

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Anche in quest’opera si avverte, oltre alla drammaticità, anche un forte effetto teatrale.

L’opera, comunque, non ebbe il successo desiderato dall’artista, che però non volle arrendersi preparando un’altra opera che nel 1843 lo vide vincitore del gran premio di pittura a Brera con il dipinto “Gian Giacomo Trivuzio innanzi a Luigi XII”. Grazie a questo successo, l’anno successivo poté ottenere il pensionato per la pittura a Roma dove poté completare l’opera dal titolo “Ludovigo il Moro visita Leonardo mentre dipinge il cenacolo”.

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L’opera fu definita un capolavoro perché univa il romanticismo lombardo con il purismo romano.

Il dedicarsi all’arte non gli impediva di seguire da vicino gli avvenimenti politico del momento. Con l’elezione del Papa Pio IX pubblicò una litografia allegorica raffigurante episodi vissuti dal Pontefice.

Nel 1848, dopo aver partecipato alle cinque giornate di Milano, tornò a Roma dove ebbe modo di stringere amicizia con il pittore Karl Pavlovic Brjullov, residente in Italia e che lo influenzerà molto nelle sue opere.

Nel 1849 dipinse “Davide e la Sunamita”. Quest’ultima opera è carica di sensualità sia per l’ambientazione intima e calda e, al tempo stesso, confortevole e lussuosa alcova, sia per la bellezza della donna dalla cui nudità si intravede la freschezza della giovane età.

Nel 1852 moriva a Roma l’amico Brjullov. L’artista volle copiarne il cadavere e, insieme ad un’altra opera che doveva servire come saggio per il suo pensionamento, la mandò a Brera.

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Nessuna delle due opere venne accolta come opera meritevole.

Tornò a Milano lo stesso anno, deluso, con problemi economici e psichici. Fu grazie a Carlo Testori e al Brambilla, suoi mecenati e amici, che riuscì a risollevarsi.

Lavorò nella villa del Brambilla a Garlate, vicino Lecco, dove, nel 1854, dipinse “Le allegorie dell’abbondanza”, opera riproducente i prodotti agricoli della Lombardia. Per la stessa famiglia realizzò dei putti, mentre per casa Testori volle dipingere “Le storie di Prometeo”.

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L’opera è divisa in cinque parti dentro le quali sono raffigurate le storie dell’eroe. Nella parte centrale volle, invece, rappresentare l’allegoria dell’immortalità tra la Giustizia e la Storia. Queste opere furono di grande impegno. Per la loro realizzazione, egli si avvicinò molto agli artisti contemporanei tedeschi come Kaulbach, Hesse e Schnorr.

Negli anni successivi si dedicò a realizzare bozzetti raffiguranti la vita dei maestri del passato. Nel 1856 rappresentò “Michelangelo che presenta il Mosè a S. Paolo” e “Raffaello visitato da Giulio II” e l’anno successivo “Leonardo Da Vinci nel refettorio delle Grazie” e “Michelangelo che mostra i cartoni del giudizio al Papa”.

Tra il 1858 e il 1859 realizzò altri bozzetti e un affresco per la villa di Francesco Lattuada, rappresentante la musica, mentre veniva allestita una mostra retrospettiva delle sue opere a Brera.

Morì a Milano il 12 Maggio 1860 senza riuscire ad occupare la cattedra di pittura presso l’Accademia di Bologna assegnatagli, oltre che per i suoi meriti artistici, anche per quelli patriottici.