EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO: VARCARE IL LIMITE TRA IL DIRITTO ALLA VITA ED IL DIRITTO ALLA MORTE. AD ACIREALE UN CONVEGNO SUL TEMA.

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Circolo Bohémien
A cura di Redazione Bohémien

 

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Nuovo appuntamento culturale lo scorso sabato con il Circolo Bohemien e l’Associazione Costarelli, questa volta con la tematica dal titolo: “Il dolore che dice no alla vita: Eutanasia e suicidio assistito”.
L’evento, che ha avuto luogo nel Salone Costarelli di Piazza Duomo ad Acireale, è nato a seguito degli ultimi accadimenti riportati dai fatti di cronaca, ultimo il caso di Noa Pathoven, la diciassettenne olandese che si è lasciata morire.
L’incontro ha suscitato moltissimo interesse non soltanto tra i relatori ma anche tra il numeroso pubblico intervenuto con il quale è stato possibile aprire un accorato dibattito sulla questione.

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Dopo i saluti dell’avv. Mario Di Prima, Presidente dell’Ass. Costarelli, il quale ancora una volta si è detto sempre disponibile a sposare temi di grande attualità come quello trattato, in tal caso per comprendere sia il valore della vita che il diritto sulla morte, è seguito l’intervento della giornalista Maria Cristina Torrisi, Direttore ed Editore della Rivista Nuove Edizioni Bohemien, la quale, soffermandosi su due grandi del passato, ossia sul filosofo, scrittore e saggista francese Alber Camus, il quale interrogò il mondo contemporaneo esortandolo ad abbandonare ogni prospettiva ideologica ai fini dell’investigazione del problema; e sullo psicologo austriaco Adolf Jost che, nel 1895 ne “Il diritto alla morte”, sostenne che il controllo sulla morte dell’individuo deve spettare all’organismo sociale, ha puntualizzato la possibilità di due prospettive nella storia umana: l’una appartenente al diritto dello Stato e l’altra all’assoluta ed incondizionata libertà del soggetto di poter disporre della propria libertà.
Da qui sono nati gli interventi dei relatori su valutazioni di ordine morale, giuridico, religioso e sociale.

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Lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Greco, componente regionale Bioetica Assessorato alla Salute, ha discusso sul caso dell’olandese Noa, la quale non è riuscita a superare quel dolore e quella tristezza che rappresentano la solitudine dell’anima, quel dolore esistenziale che non le ha permesso di trovare una serie di risposte utili per abbandonare il mal di vivere e dunque il dolore estremo. Il dottore Greco ha dato rilevanza all’aiuto concreto, a favore della vita, poiché “tutti abbiamo il dovere di aiutare per rimettere in piedi la speranza di creare un percorso condivisibile con l’intera società”.
Interessante anche l’intervento del dottore Giuseppe Quattrocchi, il quale ha puntato l’attenzione sul concetto che la nascita e la morte, un tempo, erano collegati a ritmi biologici. Oggi la vita di ciascuno comincia in ospedale e spesso si conclude in strutture sanitarie dove il momento più delicato viene gestito da macchine o strumenti di alta tecnologia. L’uomo si è impadronito dello spazio- tempo dell’esistenza ed il compito del medico deve essere quello di farsi garante della vita e quindi di non varcare il limite dell’etica, lenire i dolori ma non indurre alla morte.

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Don Vittorio Rocca, docente di Teologia Morale, ha parlato di un “problema culturale” che si sta diffondendo nella società come se la morte sia la “soluzione definibile”. Legalizzando la morte, infatti, vi è stato un cambio culturale. In Olanda si sono ampliate le tipologie delle malattie che dalle neoplasie sono passate a patologie di altra natura. “Ma uno Stato ha, tra i suoi compiti, quello di incentivare la morte dei cittadini, in preda alla disperazione, o realizzare un provvedimento di cura?”, ha poi chiesto don Vittorio Rocca al pubblico. “Il problema – ha concluso – non è organizzare la morte ma la cura. Bisogna contrastare la sofferenza dei malati piuttosto che ucciderli, poiché spesso la vulnerabilità e la disperazione influiscono sulla decisione di finire la vita”.

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L’avvocato penalista Giampiero Torrisi ha discusso dell’attuale ordinamento della legge italiana in un Paese che è afflitto da uno squilibrio istituzionale. Oggi la legge approva “l’astensione dei trattamenti” per volontà del paziente, il quale saprà che, con la sospensione dei medesimi, andrà a morire. Però la legge stabilisce che il concorso del terzo, ossia di un soggetto esterno, è reato per “istigazione al suicidio”. Nel meccanismo della legge vi è dunque una incoerenza. Il problema è che la Corte Costituzionale ha determinato l’astensione di farmaci col diritto di morire in determinate condizioni. Perché infatti punire la persona che ti aiuta e che potrebbe rendere meno doloroso il percorso sino alla morte? Nessuna legge stabilisce il diritto di morire. Ma tra circa due mesi la Corte Costituzionale discuterà se la vita è un bene disponibile o meno. “Se la vita è un bene disponibile, si può decidere per la morte e non punire il soggetto che aiuta; se invece è un bene indisponibile e si decide di morire si commette un reato” ha spiegato l’avv. Torrisi.