LE PORTE DEL DUOMO DI ORVIETO E IL CENTENARIO DI EMILIO GRECO

Arte: Critiche d’Arte – Nuove Edizioni Bohémien – Edizione Speciale Marzo 2014

A cura di Luigi Tallarico

PARTE PRIMA

L’ispirazione originaria di Emilio Greco ha tratto un impulso dal ricordo di una Sicilia arcaica, “limpida nella sua bellezza – ha rilevato lo scrittore Lawrence, citato nella monografia greghiana di Sciascia – così vicina alla bellezza fisica dell’antica Grecia”.

emilio greco

Il centenario della nascita di Emilio Greco (Catania, 1913) è stato ricordato ad Orvieto, la Città in cui lo scultore ha realizzato, con “originalità artistica” e preziose “modalità plastiche” (P.C.Santini), le porte della Cattedrale, nel cui complesso ha sede il Museo delle opere dell’artista.

Rileviamo, dalle noti biografiche, che nei primi anni dell’ultimo conflitto, Greco si trasferisce a Roma e, in occasione dell’apertura della quarta Quadriennale romana, partecipa alla Rassegna con due terracotte, una delle quali, rappresentante l’“Omino” (detto <<L’etrusco>>) del 1939, viene acquistata dalla Galleria Nazionale d’Arte moderna della Capitale.

Da anni i crescenti successi nel campo plastico, presto eguagliati nel disegno e nella grafica d’arte, molto apprezzati dai grandi musei e dai più noti artisti, da Kokoschka a Picasso.

imagesIntanto le sue sculture vengono esposte alla Biennale del 1948, tra cui “Testa di fata”, le “Grandi bagnanti” e le “Figure accovacciate”, mentre nel 1953 vince il concorso per il Monumento a Pinocchio, eretto a Collodi;  nel 1956 otterrà il Gran Premio della scultura alla Biennale di Venezia.  Si susseguono le commesse nazionali ed internazionali, realizzando per i luoghi sacri il grande rilievo plastico di Papa Giovanni XXIII in San Pietro e le porte del Duomo trecentesco di Orvieto (1290), in cui sono conservati i bassorilievi del XIII secolo e le sculture in bronzo del XIV secolo, mentre il Museo all’aria aperta della Città di Hacone in Giappone gli dedica una zona permanente di 1800 mq. denominata “Greco Garden”; il Museo Ermitage di Leningrado gli ha concesso una sala permanente e nella “Carlos Palace”, nel cuore di Londra, è stata collocata una sua monumentale “Nereide”.

scultore

Dopo la morte avvenuta a Roma tra il 4 e 5 aprile del 1995, il Ministero dei Beni Culturali e il Centro Museale di Palazzo Venezia allestiscono un’organica rassegna delle opere di scultura e di grafica, provenienti dai Musei italiani, americani, inglesi, giapponesi e dall’Europa centrale, a conferma che Emilio Greco non ha usato una diversità di visioni estetiche, sia nelle opere autonome che in quelle funzionali, avendo sempre approfondito una unità creativa nella continuità del tempo. E questo perché la parlata plastica e il segno luminoso di Greco sono legati allo stesso linguaggio delle origini, dal momento che hanno mantenuto una contiguità creativa con la tradizione che passa. Invero l’artista, senza arrestare l’opera al blocco storico del classicismo e degli stili storici, ha guardato al processo della memoria, che estroflettendo i valori permanenti dall’interno all’esterno, ha evitato la caduta nel contingente o nel quotidiano. Infatti, l’ispirazione originaria di Emilio Greco ha tratto un impulso dal ricordo di una Sicilia arcaica, “limpida nella sua bellezza – ha rilevato lo scrittore Lawrence, citato nella monografia greghiana di Sciascia – così vicina alla bellezza fisica dell’antica Grecia”, ma senza trascurare la resa euritmica di una terra, la Sicilia, da sempre palpitante e pregna di calore sensuale, per cui il suo ricordo ricompone ad unità crescente tra memoria e realtà, il turgore di quei “grappoli enormi di uva nera”, scrive Greco del suo pergolato; la vitalità di una natura pulsionale, il ricordo della casa paterna piena di luce e nelle vicinanze un teatro di pupi con “cartelloni violenti di sfide famose”, perfino la disarmata dolcezza di certe ospiti di una casa, che nonostante l’appellativo volare di “fimmini tinti”, erano ridenti e piacevoli.

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In effetti, nella “purezza” antica del suo linguaggio non è da intravedere un motivo manieristico della crisi, nata dalla stessa classicità che l’aveva espressa, bensì un arricchimento espressivo che trova nelle ritmìe tipologiche, non tanto la nostalgia del tardo ellenismo, bensì la vitalità di una Sicilia calata in “quell’erotismo objectal, compatto e luminoso come un corpo celeste, in cui la donna si inscrive e in cui il piacere in se stesso ruota e si inebria, librato sulle passioni e sulle angosce in tangibilmente sereno e armonioso”.