L’AMATA AGATA, MENTE SANA E SPONTANEA.

Cultura & Spiritualità – Nuove Edizioni Bohémien – Febbraio 2014

A cura di Maria Cristina Torrisi

images (1)Metà del terzo secolo. Già dal suo inizio, per editto dell’Imperatore di Roma Settimio Severo sono iniziate le persecuzioni cristiane. Ai seguaci di Cristo è imposto di coltivare il culto pagano. A coloro che decidono di rinunciare al loro credo, per invece servire gli dei, è concesso il diritto al “liberllurn”, una sorta di “recupero” per acquisire la “conformità religiosa”. Ma è sotto l’impero di Decio che viene emanata una legge più radicale in cui tutti i cristiani devono subire il martirio ed essere uccisi.

In questo periodo, Catania è cittadina fiorente, sia per la sua posizione geografica sia per il grande porto, e l’Impero romano è divenuto ancora più forte e potente. La sua estensione sconfina dalla Penisola iberica alla Mesopotamia, dalla Britannia all’Egitto. In ogni provincia un proconsole è chiamato a governare e ad amministrare anche in campo militare. Proprio in questi anni nasce Agata.

Di nobile stirpe, le fonti popolari vogliono farla nascere l’8 settembre del 235, essendo lei un’adolescente quando ebbe fatto il martirio nel 251. Figlia di Rao e Apolla, le viene messo il nome di Agata che significa “la buona”, un nome che già preannuncia la sua indole mite e dedita all’amore verso Dio. Oltre alla bellezza dell’anima di lei si tramanda anche quella del corpo mortale. La cultura popolare vuole che abbia avuto dei lineamenti delicati, labbra rosse e capelli biondi, fisico slanciato.

Ancora adolescente, decide di consacrare la sua vita a Dio. Così che, il Vescovo di Catania, accolta la sua richiesta, la fa “sposa di Cristo”. In una cerimonia ufficiale (Velatio) le mette il velo rosso delle vergini consacrate (flammeum). Ma la felicità di Agata è destinata a durare ben poco. Il proconsole Quinziano, saputo che tra le vergini consacrate vi è una nobile fanciulla, ordina che la conducano al palazzo pretorio, lì dove lui abita. Se da un canto l’accusa formale è quella di “vilipendio della religione di Stato” dall’altro questa risulta essere solo una scusante per coprire i capricci di un uomo interessato alla fanciulla ed alle sue ricchezze.

Per scappare dal proconsole, Agata rimane nascosta da Catania per un po’ di tempo e proprio su tale “fuga” nascono non poche leggende. Una racconta che, raggiunta dagli uomini al servizio del proconsole, fermatasi un istante per allacciarsi un calzare, ecco apparire un ulivo dov’ella poté ripararsi e mangiarne i frutti (nasce da qui la tradizione dei dolci chiamati “olivetti di S. Agata”).

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Agata, portata in Tribunale, respinge il proconsole. Questi mostra di avere verso di lei una grande passione e, per “rieducarla” a suo piacimento, affida la fanciulla alle “cure” di Afrodisia, una cortigiana senza troppi scrupoli, che vive con le sue figlie. Qualsiasi fonte di tentazione è costantemente disprezzata dalla fanciulla che non cede neppure dinnanzi alle minacce della donna quando le dice: <<Quinziano ti farà uccidere>>. Ma la vergine risponde: <<Vane sono le vostre promesse, stolte le parole, impotenti te minacce. Sappiate che il mio cuore è fermo come una pietra in Cristo e non cederà mai>>. Dinnanzi a questa fermezza, Afrodisia consegna Agata al proconsole spiegandogli che <<ha la testa più dura della lava dell’Etna, non fa altro che piangere e pregare il suo invisibile Sposo. Sperare da lei un minimo segno d’affetto è soltanto tempo perso>>.

Al Palazzo Pretorio, dove Quinziano la convoca, Agata così si difende: <<Non sono una schiava, ma una serva del Re del cielo. Sono nata libera da una famiglia nobile, ma la mia maggiore nobiltà deriva dall’essere ancella di Gesù Cristo. Tu che ti credi nobile – continua rivolgendosi sempre al proconsole- sei in realtà schiavo delle tue passioni. Ignobiltà grande è la vostra: voi siete schiavi delle voluttà, adorate pietre e legni, idoli costruiti da miseri artigiani, strumenti del demonio>>.

Quinziano minaccia Agata: <<O ti sacrifichi agli dèi o subirai il martirio>>.

<<Da tempo lo aspetto, lo bramo, è la mia più grande gioia. Non adorerò mai le tue divinità. Come potrei adorare una Venere impudica, un Giove adultero o un Mercurio ladro? Ma se tu credi che queste siano vere divinità, ti auguro che tua moglie abbia gli stessi costumi di Venere>>.

Dopo aver ricevuto dal suo aguzzino uno schiaffo, Agata riprende: <<Ti ritieni offeso perché ti auguro di assomigliare ai tuoi dèi? Vedi allora che nemmeno tu li stimi? Perché pretendi che siano onorati e punisci chi non vuole adorarli?>>.

imagesAgata viene rinchiusa in una cella del carcere, fredda e buia. Rimane a digiuno e con il solo barlume di una luce che riesce a penetrare dalla grata di ferro. Dopo un giorno ed una notte trascorsi in quella cella, è condotta nuovamente davanti al Proconsole: <<Che pensi di fare per la tua salvezza?>>

<<La mia salvezza è Cristo>>.

Quinziano decise di farla torturare.

La giovinetta è percossa con le verghe, ferita ai fianchi con lame infuocate: Le vengono stirate anche le membra ma lei rimane sempre a pregare. Infine, giunge l’ordine di amputare le sue mammelle.

 <<Non ti vergogni di stroncare in una donna le sorgenti della vita dalle quali tu stesso traesti alimento, succhiando al seno di tua madre?>> – dice Agata – << Tu strazi il mio corpo, ma la mia anima rimane intatta>>.

Dopo il martirio e l’avvenuta morte, il corpo di Agata viene posto in un sarcofago di pietra.

 

Si racconta che, prima che il sepolcro fosse chiuso, vi entrò un giovane abbigliato con una veste di seta bianca. Con lui vi erano altri cento fanciulli. Nel capo di Agata fu posta una tavola di marmo, chiamata “Elogio dell’angelo” (reliquia venerata nella chiesa dedicata alla Santa, a Cremona) con l’iscrizione latina: “M. S. S. H. D. E. P. L.” (Mente santa e spontanea, onore a Dio e liberazione della patria).

Fonti: Comune di Catania 

CURIOSITA’

A cura di Giusy Pagano

images (1)Tra i momenti più affascinanti del percorso dei fedeli che vanno dietro S. Agata, vi è l’antico canto delle Benedettine del Santissimo Sacramento che è nell’omonimo monastero di Via Crociferi.
Le monache di clausura (e non “Clarisse” come tengono a precisare), che intonano l’antifona, affermano che vivono questa tradizione come un momento che nasce dal cuore, in maniera spontanea, e come un bisogno di invocare la Santa, di pregarla e ringraziarla.

Un tempo, la Vara della Patrona si fermava di notte davanti al monastero. E quelle fedeli serve di Dio, posizionate dietro gli spioncini che non permettevano loro di vedere quanti fedeli fossero giunti ad acclamare la Santa, cantavano.

Negli anni, l’usanza della processione di notte ha ceduto il posto a quella diurna, così che le monache hanno potuto cantare dietro il cancello, potendosi farsi vedere.

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Il canto, realizzato dal musicista Tarallo, nasce per dare voce alla preghiera di Agata al Signore. E’ un’invocazione, canto brevissimo e toccante, di ringraziamento per averla liberata dalla tirannia del suo aguzzino, Quinziano:“Comanda che possa venire verso Te” è parte dell’implorazione.

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