MARGHERITA DI SAVOIA, PRIMA REGINA D’ITALIA

“In occasione della visita a Napoli con il marito Umberto I, ebbe occasione di mangiare in un ristorante partenopeo un cosciotto di pollo, portandoselo alla bocca con le mani. Per tale motivo, il popolo formulò il celebre detto: “Anche la regina Margherita mangia il pollo con le dita”.

viaggio1La pizza Margherita è uno dei simboli che più ci rendono orgogliosi di essere italiani, e che meglio caratterizzano la nostra identità nazionale. Il nome deriva dalla regina Margherita, alla quale fu dedicata questa specialità napoletana, quando giunse nella città campana. L’esistenza di celebri modi di dire (come il famoso “pollo con le dita” sopra citato), dimostrano la grande popolarità, soprattutto presso le grandi masse, di questa donna, il cui nome tuttora compare in numerose strade e piazze delle nostre città, per non parlare delle scuole o persino di paesi a lei intitolati, come quello di Margherita di Savoia, in provincia di Barletta – Andria – Trani e sede delle più celebri saline d’Italia (prima infatti questo comune si chiamava Saline di Barletta). Giustamente, Indro Montanelli nella sua celebre Storia d’Italia ha avuto modo di scrivere, riguardo a lei: “ Gli italiani compresero che, anche se non avessero avuto un gran re, avrebbero avuto una grande regina”. Ma chi si nasconde dietro questo nome tanto celebre? Chi era davvero la regina Margherita di Savoia? Certamente, ormai apparteniamo ad un contesto sociale e culturale estraneo a quello che vide l’affermarsi di una serie di modelli di comportamento, tipici del primo Novecento. Margherita (Maria, Teresa, Giovanna) di Savoia riuscì ad incarnare al meglio uno di tali modelli, divenendo esempio di moglie devota ed affettuosa, legata al marito ed alla patria, oltre ad essere una fervente cattolica. Questa fu, almeno, l’immagine che venne costruita su di lei. Era nata a Torino nel 1851 e, viaggio2secondo il costume dell’epoca, era stata educata su principi estremamente rigidi, improntati ad una severa condotta di vita, ispirata dalla religione. Nonostante la condizione femminile non le permettesse un’eccessiva libertà, era riuscita ad imporre in famiglia la scelta di voler sposare il futuro re, Umberto I. Margherita amava suo marito, ma lo stesso non poteva dirsi di lui, che frattanto era divenuto re d’Italia dal 1878.

L’etichetta ufficiale non le permetteva di ribellarsi al marito e perciò si adattò  a conservare lo status che la  situazione le imponeva: al limite, ricambiava i suoi tradimenti, creandosi un circolo personale di amanti. Il re si era invaghito, in particolare, della duchessa Eugenia Litta, detta la “Bolognini” e non ne faceva mistero con nessuno. Ad ogni nuova avventura “galante” regalava alla moglie una nuova collana di perle e, ben presto, Margherita divenne, secondo la comune credenza, la regina più imperlata d’Europa”. Dicevamo che conservò una notevole capacità di autocontrollo, dettata dalle circostanze, soprattutto in occasione delle visite viaggio3ufficiali, come quella, già menzionata sopra, a Napoli, dove nel Palazzo Reale diede alla luce il suo unico figlio, il futuro re Vittorio Emanuele III. Si dice che, in realtà, nacque una femmina, ma si provvide subito a scambiare il neonato, per assicurare un erede maschio al regno sabaudo. Nel 1900 avvenne il dramma: durante una visita ufficiale a Monza della coppia reale, l’anarchico Gaetano Bresci uccise a colpi di pistola Umberto I. In quell’occasione, Margherita dimostrò un dolore sincero e profondo, arrivando a comporre una preghiera in ricordo dello scomparso marito (tale testo non fu però approvato dalle gerarchie ecclesiastiche). Dopo quella data, si ritirò nel ruolo di regina – madre, cedendo il posto al figlio, finché la morte la colse il 04 Gennaio 1926.

Il popolo italiano non si dimenticò di lei. Il treno, che trainava il carro funebre, fu accompagnato lungo tutto il percorso sino a Roma dall’omaggio devoto ed affettuoso del popolo che salutò la sua “regina”, i cui resti sono tuttora conservati all’ombra del Pantheon, insieme a quelli di altri uomini, che hanno reso grande l’Italia.

Giuseppe Vecchio