A come APE 

ape

Racconti e Leggende

A cura di Antonino Leotta

ape

La prima vocale, la prima lettera dell’alfabeto, il primo incontro di tutti noi con la scrittura, sono stati accompagnati da un simbolo inconfondibile: l’ape. L’abbiamo subito fatta nostra, l’abbiamo amata. Appartiene a ciascuno di noi. E’ diventata una nostra amica.

E’ laboriosa l’ape. Un’attenta osservatrice. Che mira a una raccolta selettiva. Di un bene scelto, sicuro. Molto più della formica che raccoglie tutto senza scartare. Che si muove agitandosi velocissima a stretto e continuo contatto con il terreno. Immergendosi e sporcandosi continuamente tra fanghi, polveri e detriti.

La formica raccoglie e custodisce per sé stessa. L’ape dona. E’ generosa per sua natura.

E vola alta, si libra nell’aria dopo aver toccato e baciato fiori, respirando profumi. Consegnando, poi, felice, il suo raccolto ad una regina che sa creare un regno di dolcezza, un concentrato di vita, uno scrigno di preziosità salutari. Inestimabili.

E’ strano, ma stiamo tentando in tutti i modi di violentare la natura. Di trasformare, per analogia, la nostra umanità in azioni di disumanità. Ci piace la distruzione, la violenza, la guerra. Lo stiamo dimostrando giornalmente con lo sfruttamento indiscriminato della natura, con il disprezzo degli altri, la violenza su bambini, su donne e sulla nostra stessa persona. Ci orientiamo alla guerra facile ma crudele e perversa. Tra etnie, popoli e nazioni. E stiamo persino distruggendo i momenti, gli aspetti, i contenuti, le scelte della nostra stessa esistenza. Dal nostro corpo alle nostre aspirazioni. Dalle abitudini alle conquiste. Dalla privacy alla convivenza. Dalla bontà del pane alla genuinità dei prodotti della terra. Dal lavoro alla pensione.

Il lavoro era il nostro pane quotidiano. I nostri padri l’hanno impresso chiaro nella prima pagina della nostra Costituzione italiana. La nostra “era” una “Repubblica fondata sul lavoro”. Certamente è stato sempre un peso il lavoro. Ma lo abbiamo, comunque, alleggerito con la forza del nostro spirito. Si sta diffondendo, tuttavia, una sorta di disprezzo per chi ce l’ha e un vago desiderio, una lontana chimera per chi non ce l’ha. Un’altissima percentuale della nuova generazione, infatti, lo vede allontanarsi sempre più. Pur impegnandosi in un nuoto debilitante tra le acque di un oceano che, stranamente, prospetta alla vista una spiaggia sempre più lontana.

Quell’ape laboriosa che raccoglie e produce dolcezza, comincia a scomparire dal nostro sistema di vita. La nuova generazione   -e non solo-  è costretta a cancellarla dalla visione e dalla memoria di un’infanzia felice. La dolce ape lavoratrice non si propone più con la sua generosità produttiva.

Ma quello che diventa molto più grave è il perverso progetto di farla odiare anche a chi per tanti anni l’ha considerata un esempio di vita. La quasi totalità di chi, da tempo, conosce gli impegni di una lavoro, ha adottato con consapevolezza lo stile dell’ape. Ha cercato di tenere alto il suo comportamento nell’adempimento del proprio impegno quotidiano. Ha prodotto una bene per la collettività. Ha speso i suoi giorni per rendere un servizio utile a tante altre persone.

Oggi, sfacciatamente, diabolicamente, al lavoratore-ape che ha percorso una cammino di responsabile impegno, viene proposta l’APE come strumento di ingiusta condanna. L’APE come conclusione di strozzinaggio per un generoso viaggio. Il Governo italiano, in un discutibile incontro con i Sindacati, sta ritenendo di offrire al lavoratore questa possibilità per un anticipo pensionistico a 64 anni di età.

Chi anela a un meritato riposo, chi intende poggiare le stanche membra su un cuscino di serenità futura, chi ritiene ragionevole fare posto alla laboriosità di giovani leve, viene preso per il collo e costretto a una miserevole scelta: l’APE.

Il malcapitato lavoratore, dopo aver versato lunghi anni di contributi a un fondo pensionistico, deve scegliere di sottoscrivere un mutuo che dovrà coprire l’importo della ricompensa a lui dovuta, fino a un massimo di tre anni e sette mesi di lavoro. Diecine di migliaia di euro, gravati da un tasso di interesse annuo e da una copertura assicurativa, dovranno essere resi sino all’ultimo centesimo. Un mutuo da onorare per venti lunghissimi anni. Si tratta, cioè, mentre si entra in pensione, di caricarsi ancora di un peso gravoso per la durata di metà di anni lavorativi già effettuati. Banche e assicurazioni si assicurano un introito spillando sangue a un pensionato che, per sua natura, deve godere di una dovuta ricompensa.

Era stato, inoltre, adottato, dai nostri antenati, un trattamento di fine rapporto che allietava il sorriso del laborioso lavoratore-ape. Un trattamento che, con la scelta della nuova versione e visione dell’APE, viene allontanato fino al raggiungimento dei 67 anni e sette mesi di età. Con l’aggiunta dei precedenti altri mesi già in vigore e previsti per i nuovi pensionati.

In definitiva, il traguardo gioiosamente sognato da ogni lavoratore, diventa un pauroso tormento che avvilisce ogni ape laboriosa.

E’ evidente: non si può trasformare un’ape in una vespa. E’ mostruoso.