Eredità che liberano o incatenano nel passaggio del testimone tra le generazioni

Raffaello, Enea trasporta il padre Anchise, musei vaticani

Raffaello, Enea trasporta il padre Anchise, musei vaticani

 

Attualità

A cura di Maria Pia Fontana

Il tema dell’eredità materiale o simbolica riguarda tutti, ogni persona, infatti, in quanto figlio è un erede. Chiaramente, l’eredità non va intesa solo come trasmissione di beni e di status, ma anche e soprattutto come trasferimento di valori, conoscenze e di affetti che contribuiscono a dare significato ai valori 1). Secondo J.T.Godbout (1992) il dono, inteso come atto fiduciario e gratuito, è costitutivo del legame familiare, ma esso inevitabilmente richiama il debito. Infatti, chi ha ricevuto il dono della vita si trova nella condizione di doversi sdebitare e tale restituzione dovrebbe realizzarsi sia in avanti, attraverso la scelta di mettere al mondo e di accudire i propri figli, che all’indietro, cioè manifestando gratitudine verso il proprio genitore, soprattutto quando necessita di maggiore aiuto. Sia i padri che i figli sono quindi accomunati dalla dinamica del dono e del debito in quanto ciascuno deve qualcosa a chi gli ha dato la vita 2).

Possiamo dire che la struttura portante dell’esperienza umana è fatta dall’incontro di generi diversi e che il prototipo del dono paterno, patri-munus, consiste in qualità e in attitudini maggiormente orientate in senso etico e normativo, perché tradizionalmente il padre è colui che guida, responsabilizza ed immette nel mondo sociale, mentre l’archetipo del dono materno, matris-munus, si caratterizza per una maggiore componente emotiva e affettiva, in quanto la donna porta in grembo la vita e la custodisce 3). Tuttavia, a fronte di queste tipizzazioni di genere, M.Recalcati, ispirandosi a Lacan, sostiene che il padre è colui che sa conciliare aspetti emotivi di slancio e passionalità con aspetti etici, integrando cioè il desiderio, inteso come spinta motivazionale, come amore per la vita, l’altro, il sapere o la scoperta di cose nuove, alla legge che rappresenta il limite, conciliando così la libertà con la responsabilità.

Recalcati, inoltre, ritiene che l’eredità paterna passi attraverso azioni concrete e consista in una testimonianza di vita vissuta capace di dimostrare con i fatti che il mondo è dotato di senso e che anche il futuro contiene in sé la possibilità di rinnovare il desiderio 4). A tal riguardo “ereditare non è solo ricevere un senso del mondo, ma è anche la possibilità di aprire nuovi sensi del mondo, nuovi mondi di senso” 5). Non è quindi un processo passivo, non è godere di una rendita, ma una ri-conquista della propria soggettività, è cioè il prodotto di una scelta che iscrive la nostra storia personale nella storia di chi ci ha preceduto e che la proietta nell’avvenire. Questo processo può fallire a causa di due vizi, uno di “sinistra” e uno di “destra”.

Il vizio di destra consiste nel ripetere pedissequamente ciò che è stato e nasce da un eccesso di venerazione del passato e da una sorta di idolatria delle radici e della memoria che ostacola o impedisce l’innovazione. Il secondo fallimento, invece, riflette il delirio moderno dell’autosufficienza senza vincoli e si colloca sul lato opposto, in quanto si sostanzia in una ribellione rivoltosa verso il passato, negando il debito simbolico che ci lega a chi ci ha preceduto. Nessuno di questi due estremi soddisfa il sano processo dell’ereditare, che piuttosto “si situa sul bordo tra la memoria e l’oblio, tra la fedeltà e il tradimento, tra l’appartenenza e l’erranza, tra la filiazione e la separazione” 6). Condividendo tale concetto, E.Scabini e V.Cigoli considerano positivamente quella transizione intergenerazionale caratterizzata da una continuità creativa tra genitori e figli perché non cade né nella trappola della ripetizione, né in quella della rottura 7).

Il processo di ereditare chiaramente non riguarda solo i genitori naturali, in quanto possiamo avere diversi padri e madri simbolici che, nel corso del nostro cammino umano o professionale, sono stati investiti del compito di passarci il testimone, immettendoci in una catena umana di esperienze e di opere che frequentemente comincia prima di noi e si conclude dopo. A seconda dei casi, questi genitori simbolici possono essere dei maestri, degli iniziatori, dei mentori, dei leader politici o organizzativi, dei terapeuti, delle figure emblematiche del passato, dei padri spirituali ma anche chi abbia un’investitura o una responsabilità educativa particolare verso di noi in virtù della sua funzione o del suo ruolo, oppure semplicemente per la propria saggezza e competenza.

Oltre ai vizi dell’erede, esistono quelli che affliggono gli stessi genitori simbolici e che possono essere considerati delle forme di tradimento educativo. Il primo di essi può consumarsi quando il donatore viene meno al patto e alla promessa implicita di concedere l’eredità, che può mancare perché dilapidata dal genitore o perché resa intrasmissibile o ancora perché ipotecata da debiti reali e non solo simbolici. Basti pensare all’esaurimento delle risorse ambientali, alla depauperazione delle bellezze naturalistiche o al furto di avvenire e di speranza, ma anche di valori, subito da tanti giovani proprio a causa di chi dovrebbe salvaguardare i loro diritti a godere di questi beni e a coltivare la fiducia verso la vita e il futuro.

In questo caso il tradimento è palese, perché nei fatti l’eredità non c’è. Può anche succedere che il genitore simbolico rinvii il momento della successione fino a quando, raggiunto il limite naturale della propria esistenza o del suo mandato, porti nella tomba o nel limbo del nulla la sua eredità, senza lasciare niente di fatto: nessun dono, nessuna opera, nessun obiettivo o risultato da realizzare rimangono dopo di lui. Con il genitore simbolico muore cioè tutto ciò che egli ha costruito, desiderato e sperato e ciò può avvenire sia nel caso in cui egli non riesca a passare il suo testimone e a preparare il terreno per la sua successione, a causa del suo narcisismo o incapacità, e sia perché ha depauperato e ha corrotto il patrimonio. Quando manca l’eredità è come se morisse Sansone con tutti i Filistei in un delirio di onnipotenza del genitore, che talvolta può essere perfino rivestito da motivazioni ideali quali l’eccesso di abnegazione verso una causa che solo lui può perseguire considerata (la presunta) incapacità dell’erede.

Oppure il tradimento educativo può manifestarsi nelle forme del ricatto affettivo, della manipolazione, dello sfruttamento, della possessività esasperata che impedisce ad esempio a chi riceve il lascito simbolico di integrare diverse appartenenze o eredità. Inoltre, questo tradimento può assumere la forma dell’imposizione di norme di condotta, ma anche di obiettivi, di mete ideali e di pratiche, senza possibilità che l’erede possa osare una qualche forma di innovazione. In questi casi egli si riduce a clone del genitore o a suo successore passivo, non tanto per un’incapacità dello stesso erede, quanto per l’effetto prescrittivo e per i ricatti affettivi del padre o della madre simbolici. Il lascito testamentario in questo caso esiste, ma è viziato o ipotecato, perché l’erede è vincolato dallo stesso genitore ad un patto di fedeltà coercitiva e di lealtà unidirezionale che lo sottomette piuttosto che liberarlo, in un’eterna riedizione del già visto o di ciò che è già accaduto. L’eredità, quindi, è stata trasmessa nella forma del comando o come ineludibile dovere morale, e non come opportunità di potenziamento e di crescita originale e vitale, capace di aprire piste nuove o di imprimere una virata allo stato delle cose che contempli anche la possibilità di un cambiamento rispettoso dell’identità unica ed irripetibile di chi raccoglie il testimone.

In questo senso può dirsi che la trasmissione dell’eredità è un processo complesso e articolato che impegna attivamente e consapevolmente sia il genitore simbolico che l’erede e che, se viene adeguatamente condotto, arricchisce entrambi in quanto implica la generosità gioiosa di chi dona e la gratitudine propositiva di chi riceve, salvaguardando il valore del legame intergenerazionale, della trasmissione di cultura e di valori e del progressivo incremento del patrimonio umano grazie all’unicità irripetibile di ogni componente. Al contrario, se tale processo resta viziato da parte del genitore, che per primo ha il compito di  fornire le modalità, gli strumenti e le occasioni per un corretto passaggio del testimone, l’eredità rischia di tramutarsi in una gabbia, in una croce o una disgrazia in capo a chi subentra e tale tranello educativo rivela una violenza coperta da ipocrisia, un paternalismo feroce e spietato celato dietro la maschera della (finta) liberalità della donazione.

Possiamo quindi avere varie forme di eredità avvelenata. Questi lasciti pericolosi e malsani, pure quando si rivelano delle macroscopiche truffe e bluff, lungi dal trasferire patrimoni o beni arricchenti, si traducono in un tradimento del patto fiduciario che lega le generazioni. Quando la linea di trasmissione che unisce e collega i  “vecchi” e i “giovani” diventa catena di aridità, di amarezze e di sospetto non è possibile trovare liberamente un proprio posto nel mondo né sperimentare la gioia di vivere e di tesaurizzare il tempo dell’esistenza come opportunità di cui anche altri potranno godere. L’erede sfruttato, deluso o manipolato tenderà a ripetere gli stessi meccanismi di sopraffazione e di inganno subiti quando assumerà in prima persona il compito e la responsabilità di formare nuove leve o di passare a sua volta il testimone.

Saper consegnare eredità autentiche, liberanti e non viziate da ipoteche o da debiti è quindi una fondamentale abilità dei genitori simbolici e ciò è possibile solo se essi sviluppano la capacità di lasciare spazio e di dismettere il loro potere a vantaggio dell’erede in un circuito virtuoso in cui il debito di riconoscenza di chi riceve oggi diventa il credito di cui godrà domani nei confronti di altri. Se invece si spezza questa cinghia di trasmissione umana che poggia sulla fiducia, sulla gratuità e sulla solidarietà possono crearsi forme di empasse generazionale che azzerano la memoria così come la capacità di prefigurare il futuro e ogni generazione percepirà sé stessa come appiattita su un eterno presente di godimento e di consumo.

E’ dalla generosità gratuita dei padri che discende quella dei figli che un giorno saranno a loro volta padri in senso biologico o simbolico. E la gratitudine degli uni verso gli altri va meritata e coltivata, in quanto fondamentale legame tra le generazioni. A tal riguardo, sostiene J.T. Godbout, “nel dono si inscena il legame sociale più libero. Per questo non solo bisogna ricrearlo ad ogni istante, ma bisogna crearlo ad ogni generazione” 8). In definitiva, il valore e il senso del nostro transito umano non sarà determinato tanto da quanto abbiamo costruito o distrutto, consumato o risparmiato, ma da quanto e da come abbiamo donato e da come abbiamo saputo mettere a frutto ciò che abbiamo ricevuto.

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1) Scabini E., Cigoli, V., Il famigliare, Legami, simboli e transizioni, ed. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000

2) ibidem

3) Iafrate R., Bertoni A., Gli affetti, Dare senso ai legami familiari e sociali, ed. La Scuola, 2010

4) Recalcati M., Il complesso di Telemaco, genitori e figli dopo il tramonto del padre, ed. Feltrinelli, 2013

5) Ibidem, pag. 38

6) ibidem, pag. 130

7) Scabini E., Cigoli, V., Il famigliare, Legami, simboli e transizioni, op. cit.

8) Godbout J. T. Lo spirito del dono, (1992) trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pag. 237