LETTERA APERTA DI UN SACERDOTE

luce“La Chiesa mi ha chiesto e ho risposto generosamente, cosciente di rischiare.”

Ringrazio coloro che mi danno dello stregone o del santone o del mago perché mi  aiutano a riscoprire la mia identità di sacerdote che cerca di aiutare il prossimo ad attraversare il loro Mar Rosso.

Oggi un uomo distrutto dal male mi ha detto che quando aveva cercato aiuto, rivolgendosi ai sacerdoti ne era rimasto molto deluso perché non gli avevano saputo dare alcuna risposta. Aveva bisogno di parlare e non era stato ascoltato. Il primo gli ha detto subito: ‘se cerchi soldi io non ti darò nulla’.

Debbo molto al ministero della liberazione che sto esercitando perché mi sono accorto che non avevo sviluppato in pieno i poteri del sacerdozio.

Mi mancava molto, il mio sacerdozio era incompleto e incompiuto.

Ero rimasto freddo, fuori del dolore e della sofferenza delle persone.

Nessuno ci aveva insegnato a pregare sulle persone, a “toccare” il dolore del prossimo, ad esercitare in pienezza il ministero della “benedizione”.

Restavo al di fuori, gestendo una fredda ritualità e una prassi sacramentale che faticava a scalfire i veri problemi del prossimo e temo che la mia ministerialità “ridotta” fosse quella più o meno comune in una certa “chiesa” occidentale tanto “secolarizzata” sviluppatasi in un tempo di post-concilio “selvaggio” che recentemente Benedetto prima e Francesco poi ci hanno insegnato a smascherare… imm.6

Le chiese si svuotarono progressivamente, per una religione non “compassionevole” e le persone affidarono la loro vita ai maghi, ai fattucchieri, ai cartomanti, ai medium …

Ho scoperto perciò la necessità e l’urgenza di una fede e di una Chiesa più carismatica, capace di entrare dentro i vissuti e il dolore della povera gente.

Ero completamente all’oscuro di certe dimensioni, di certi “doveri” perché ce l’ha comandato Gesù, dopo averlo fatto Lui per primo e avercelo insegnato.

Noi dovremmo essere la Chiesa della Speranza, delle risposte, del coinvolgimento, della compassione.

Sono un semplice autodidatta che si è trovato ad immergersi quasi a sua insaputa nel dolore della gente quando si è trovato faccia a faccia con esso e non è potuto fuggire o far finta di niente, non ha potuto tirare dritto come il sacerdote e il levita del racconto evangelico del buon Samaritano.

La Chiesa in questo ministero non mi ha dato perché non mi ha preparato nel passato. Non si è affrontato l’argomento negli incontri di clero e nei corsi universitari.

Ora la Chiesa mi ha chiesto e ho risposto generosamente, cosciente di rischiare.

Da autodidatta ho provato di tutto, ad intuito, a naso, tantissime volte per ispirazione. Dopo ti chiedi perché hai compiuto certi gesti che si sono rivelati azzeccati e ti accorgi che ti sei sentito guidato e condotto a farlo.

Non sempre si indovina ma con la dovuta umiltà si ricomincia e si riprova.

Ho fatto l’esperienza fisica del dolore, l’ho toccato, l’ho percepito, l’ho sentito fisicamente.

Anni fa un sacerdote di un paese vicino, ove mi trovavo allora, mi pregava di aiutarlo nelle sue preghiere di liberazione. Io mi defilavo, gli dicevo che non sentivo nulla, che per me era acqua fresca, che facevo fatica a star lì. Ma lui mi rispose: “no, tu hai il dono delle mani, le persone ti richiedono, dicono che hai questo dono”.

Per me fu una di quelle parole che lì per lì non capisci ma che ti ritornano al momento giusto.

In verità una volta mi fece imporre le mani su una persona molto disturbata dal demonio. Non sapevo cosa fare, guardai l’ostia consacrata esposta sull’altare e dissi tra me: “Gesù, ti amo!”. Come lampo e tuono, quella gridò forte: “di chi sono queste mani, brucio!”.  Addebitai il tutto alla potenza dell’Eucaristia e non mi sconvolsi più di tanto.

Ma nell’esercizio del ministero dell’esorcistato, anni dopo, mi sono ritrovato a usare le mani e le ho scoperte come peso e misura del malessere del prossimo.

Nei casi estremi, appena ho toccato con le mani sopra la stola, il capo di persone possedute dal demonio, è successo il finimondo.

Ma con le mani ho sentito le vibrazioni del male, l’agitazione delle persone, il loro oscillare, muoversi, il loro vacillare di fronte alla potenza di Dio.

A volte le persone vessate dal maligno stramazzano di colpo, per sottrarsi dall’influenza positiva, per lo scontro fra il bene e il male, perché non reggono alla preghiera, sono come fulminate dalla preghiera.

Altre volte si agitano e tu lo senti, ascolti, tocchi il dolore, come il medico ascolta il cuore e i polmoni.

Alcuni resistono in tutti i modi. Senti la resistenza a allora insisti finché crollano e in quel crollo si allentano le tensioni, si sciolgono i nodi, si riposa da dure tensioni e trazioni del male che scuotono le persone e le rendono nervose, agitate e insonni.

Ci sono coloro che cadono perché hanno il riposo nello spirito, particolarmente sensibili all’effetto della preghiera su di loro, ma non sono molti.

Senza titolo-3È un entrare nel profondo del dolore e del malessere, un accompagnarlo verso l’uscita di sicurezza.

Fortunatamente per me le persone con problemi mentali non legano, non si sentono attratte, non resistono a lungo e si dileguano. Non ho il carico della pesantezza della loro presenza, né di persone fanatiche o illuse.

È una grande pena cogliere l’agitazione del dolore che si manifesta in mille modi, ha mille reazioni diverse, mille resistenze.

Le mani diventano come un termometro: misurano il grado di disturbo della gente.

Lo considero un dono non solo per chi soffre ma anche per me: sentire, toccare, “bastonare” il dolore, lenirlo, addolcirlo, con la forza e la potenza della preghiera.

Lo sento come un mondo che si apre dinanzi a me e mi si rivela.

Ieri, forse anch’io, come tanti altri sacerdoti, avrei detto che queste sono cose da stregone o da magia bianca.

Oggi soffro per queste accuse ma soprattutto per coloro che non hanno avuto la possibilità e il gran dono di conoscere  e di confrontarsi con l’abisso del dolore e di fare l’esperienza concreta, tangibile, della potenza, della forza di Dio, che guarisce, libera, salva, è medicina e medico, guarigione, liberatore e liberazione, che ci libera, con braccio potente. Se io sono stregone i miei accusatori sono “eunuchi”, invalidi e disobbedienti alla Parola di Gesù.

La mia debolezza, la mia incapacità, la mia inefficacia, la mia impotenza sono la mia forza e la mia potenza, ciò che mi differenzia dalla stregone che esercita un suo potere. Io dispongo del mio nulla e della mia sofferenza, offerti e donati a Dio come mio contributo personale.

Con San Paolo posso dire anch’io: quando sono debole è allora che sono forte.

Se non riesco a condurre le persone a liberazione, a guarigione, mi sento in colpa perché non ho sviluppato sufficientemente i doni che Dio ci ha promesso e ci ha fatto e sono ancora molto distante dal realizzare quanto dice S. Paolo di se stesso: per me vivere è Cristo … Cristo vive in me … noi abbiamo il pensiero di Cristo … per poter compiere le opere di Cristo.

Don Carmelo La Rosa