A PORTE CHIUSE

IL DIARIO DI ANNA FRANK

Cultura

A PORTE CHIUSE
di Antonino Leotta

Ti può capitare, durante un periodo di obbligo di rimanere in casa per evitare il contagio di una forte epidemia, di cercare dei testi per dialogare con autori diversi. E’ un modo come trascorrere delle ore di una lunga giornata in piacevole compagnia. E ti accorgi -strano ma vero- che tanti “autori” hanno scelto di restare chiusi in casa per leggere e scrivere.

IL DIARIO DI ANNA FRANK
Mi è apparsa immediata la figura di una ragazza. Che è stata costretta a vivere rinchiusa. Ma ha liberamente scelto di leggere e scrivere.

ANNA FRANK era nata a Francoforte nel 1929 da genitori ebrei. La sua famiglia si rifugiò in Olanda ad Amsterdam per sfuggire ai nazisti. Ma la città venne occupata dai tedeschi nel 1940 e, nel 1942, la famiglia fu costretta a rifugiarsi in un locale di fortuna sopra una vecchia fabbrica. Nell’agosto 1944 le SS scoprirono il nascondiglio e Anna venne condotta al campo di concentramento di Westerbork. Nel settembre 1944 venne trasferita ad Auschwitz.
Durante il periodo vissuto nel nascondiglio, Anna scrisse un diario. L’ultimo appunto è del 4 agosto 1944. Nel febbraio 1945 Anna morirà di tifo a Bergen-Belsen. Il padre, che riuscì a sopravvivere, pubblicò il testo del diario nel 1947 con il titolo “L’alloggio segreto”. L’edizione italiana apparve nel 1954. Il diario è stato tradotto in sessanta lingue.

L'Alloggio segreto

Ho pensato di rileggere le pagine di quel diario e di proporre alla lettura alcuni dei brani tratti dagli ultimi mesi. Non hanno bisogno di commenti. Perderebbero della loro immediatezza.

“Giovedì 11 novembre 1943
Ora sono arrivata a quattordici anni, ed è l’ultimo anno che la mia penna ha passato con me… Fu un venerdì pomeriggio dopo le cinque: io venivo dalla mia cameretta e volevo andarmi a sedere al tavolino per scrivere, ma fui rudemente spinta da parte e dovetti cedere il posto a Margot e al babbo che volevano fare i loro esercizi di latino. La stilografica rimase inutilizzata sul tavolo, mentre la sua proprietaria si accontentò sospirando di un angolino del tavolo e si mise a strofinare fagioli. “Strofinare fagioli” qui significa ripulire i fagioli ammuffiti. Alle cinque e tre quarti scopai il pavimento, raccolsi lo sporco e i fagioli marci in un giornale e gettai tutto nella stufa. Ne venne fuori un’enorme fiammata, e io fui contentissima di avere in tal modo ravvivato la stufa che pareva già quasi spenta. Tutto era di nuovo tranquillo, i latinisti avevano finito e io andai a sedermi al tavolo per cominciare, finalmente, a scrivere; ma la mia stilografica era irreperibile. La cercai dappertutto, la cercarono Margot, mamma, papà e Dussel, ma la penna era scomparsa senza lasciar traccia. […] […]papà nel ripulire la stufa trovò fra le ceneri il fermaglio metallico. Ma del pennino d’oro non si trovò traccia. «Certamente dev’essersi cotto rimanendo appiccicato ad una mattonella» disse il babbo. M’è rimasta una consolazione, sebbene assai magra: la mia stilografica è stata cremata, proprio come vorrei io, a suo tempo. La tua Anna.

Sabato, 12 febbraio 1944.
Cara Kitty, c’è un bel sole, il cielo è sereno, spira un vento delizioso, e io ho desiderio… di tutto. Desiderio di chiacchiere, di libertà, di amici, di esser sola. Desiderio… di piangere! mi sembra di dovere scoppiare, e so che se piangessi starei meglio; ma non posso. Sono inquieta, vado da una camera all’altra, respiro l’aria dalla fessura di una finestra chiusa, sento che il mio cuore batte, come se dicesse: “Soddisfa finalmente i miei desideri!”. Credo di sentire in me il risveglio della primavera, lo sento in tutto il mio corpo e nella mia anima. Debbo farmi forza per comportarmi normalmente, sono del tutto smarrita, non so che cosa leggere, che cosa scrivere, che cosa fare; so solamente che ho tanti desideri…!

Martedì, 7 marzo 1944.
[…] Allora penso: “buona” è la sicurezza del nostro rifugio, è la mia salute, è la mia stessa esistenza; “caro” è Peter, è quel sentimento delicato e indistinto che noi due non osiamo ancora nominare, o sfiorare, ma che verrà, e sarà l’amore, l’avvenire, la felicità; “bello” è il mondo; il mondo, la natura, la bellezza e tutto ciò che la forma. Non penso a tutti i sofferenti, ma al bello che ancora rimane. In questo sono molto diversa da mamma, che a chi è di cattivo umore consiglia: “Pensa alle miserie che ci sono al mondo, e sii felice che tu non ne soffri!”. Io invece consiglio: “Va’ fuori, al sole, nei campi, a contatto con la natura, va’ fuori e cerca di trovare la felicità in te e in Dio. Pensa al bello che c’è ancora in te e attorno a te e sii felice!”.

Mercoledì 3 maggio 1944
C’è negli uomini un impulso alla distruzione, alla strage, all’assassinio, alla furia, e fino a quando tutta l’umanità, senza eccezioni, non avrà subito una grande metamorfosi, la guerra imperverserà: tutto ciò che è stato ricostruito o coltivato sarà distrutto e rovinato di nuovo; e si dovrà ricominciare da capo. Sono stata sovente abbattuta, ma mai disperata; considero questa vita clandestina come una avventura pericolosa, ma romantica e interessante. Mi consolo delle privazioni divertendomi a descriverle nel mio diario. Mi sono proposta di condurre una vita differente da quella delle altre ragazze e, più tardi, da quella delle solite donne di casa. Questo è il bell’inizio della vita interessante; e perciò, perciò soltanto, nei momenti più pericolosi, debbo ridere del lato umoristico della situazione. Sono giovane e posseggo molte virtù ancora nascoste, sono giovane e forte e vivo questa grande avventura, ci sono in mezzo e non posso passar la giornata a lamentarmi. La natura mi ha favorito dandomi un carattere felice, gioviale ed energico. Ogni giorno sento che la mia mente matura, che la liberazione si avvicina, che la natura è bella, che la gente attorno a me è buona, che quest’avventura è interessante. Perché dunque dovrei disperarmi?

Giovedì, 15 giugno 1944.
Cara Kitty, è perché da tanto tempo non metto più il naso fuori di casa che vado pazza per le bellezze naturali? So benissimo che una volta l’azzurro del cielo, il cinguettio degli uccelli, il chiaro di luna e gli alberi in fiore non attiravano la mia attenzione. Qui le cose sono cambiate. La sera di Pentecoste, per esempio, sebbene facesse tanto caldo, mi sono sforzata di tenere gli occhi aperti fino alle undici e mezza, per potere tranquillamente contemplare da sola la luna attraverso la finestra aperta. Purtroppo questo sacrificio non servì a nulla, perché la luna spandeva troppa luce e io non potevo rischiare di tenere la finestra aperta.
Un’altra sera, parecchi mesi addietro, mi trovavo per caso di sopra mentre la finestra era aperta….. Non è una mia fantasia che la vista del cielo, delle nubi, della luna e delle stelle mi renda tranquilla e paziente. E’ una medicina migliore della valeriana o del bromuro. La natura mi rende umile e pronta ad affrontare valorosamente ogni avversità.

Sabato, 15 luglio 1944.
[…] E’ un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte , della miseria, della confusione. vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace, la serenità…”.

AUSCHWITZ

Sento di dover chiudere queste pagine con uno spontaneo consiglio: chi ha letto, provi a rileggere con l’idea di riscoprire la bontà delle lettura e della scrittura. Che non è un diversivo ma un modo come accostare lo scritto alla vita. Perché la vita è una storia, un racconto. Tutto vissuto. Fatto di una sequenza di ore e di giorni. Di fatti, di avvenimenti, di incontri, di relazioni. Di pensieri e di considerazioni. Che si possono mettere per iscritto. E rileggere. Acquistando i valori dell’immortalità.