Cristian Patanè e il suo sogno avverato di diventare regista

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Maria Cristina Torrisi Editore e Direttore di Nuove Edizioni Bohémien

Maria Cristina Torrisi
Editore e Direttore di Nuove Edizioni Bohémien

Attualità

 

 

 

 

 

 

 

A cura di Clara Artale

È una sera di fine estate, una lieve pioggia scende lenta, ascolto assorta la narrazione del mio interlocutore. Avolese di nascita e vagabondo, come si definisce, per necessità, Cristian Patanè è un giovane e talentuoso regista che ha costruito la sua carriera in varie città d’Italia e del mondo, con Roma a capitanare. A 17 anni, lanciato in un mondo nuovo, diviene il regista più giovane d’Italia.

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Chiedo a Cristian cosa sognasse di fare da bambino.
“Da piccolo volevo fare il prete e l’architetto e in qualche modo questi due mestieri hanno trovato un punto d’incontro nella regia, poiché scavo dentro l’anima e costruisco una realtà. Quindi ho mantenuto la promessa con me stesso”.
Qual è lo “strumento” più importante per un regista?
“Come diceva Orson Welles, immenso maestro del cinema, la tecnica s’impara in tre giorni, il resto è solo cultura: questi sono gli elementi che servono per essere un grande artista. Personalmente alla cultura aggiungo anche la capacità di connettersi, che sia con la propria interiorità o con l’altro, che sia con il contesto o con il momento storico che si vive, con il passato e con il futuro. Connettersi, sempre”.
Quali sono state le esperienze più formative della tua carriera?
“Ci sono stati momenti in cui ho capito e ho imparato come si maneggia la materia umana nel cinema, tutto il dispositivo tecnico. La prima esperienza estremamente formativa è stata quando a 17 anni sono andato a Roma a girare il mio primo film breve professionale, con una produzione dietro, il macchinario in pellicola, un cast già riconosciuto. All’epoca venivo da un’équipe tecnica molto ridotta e mi sono trovato da un momento all’altro davanti a questo macchinario enorme dove la responsabilità, anche economica, sul lavoro era di un certo peso specifico. La cosa che mi impressionò di più fu che io non sapevo nulla di cinema, nemmeno delle figure tecniche che compongono una troupe, e magicamente il primo giorno di set in realtà avevo già capito tutto, perché naturalmente mi ero connesso con tutto ciò che mi era attorno.

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Nei giorni a seguire riuscii a trainare la troupe in una lavorazione che poi è risultata parecchio complessa per tutta una serie di fattori e in quei giorni sono diventato regista vero e proprio. Un altro momento altamente formativo è stato quando ho preso la mia conoscenza intuitiva e la mia esperienza, dopo svariati anni, e le ho messe in discussione perché ho scelto un mentore da seguire e un maestro con cui confrontarmi. Il mentore da seguire è Piero Messina, regista siciliano di incredibile talento; è molto duro con me ma è anche capace di una cura unica. Quello che sto assorbendo da lui è un’eredità vera di cui un giorno sarò manifesto; in fondo tutti i giorni rispondo di questa eredità, che non è scontata e bisogna meritarsela. Il maestro con cui mi sono confrontato e mi confronto è Daniele Ciprì, vero maestro perché mette completamente a disposizione dei giovani registi di talento la sua conoscenza e la capacità di creare armonia. Ama la contaminazione tra l’esperienza e la potenza biologica della gioventù. Quando questi elementi si incontrano creano un corto circuito e spesso viene fuori bellezza, queste componenti energetiche entrano in gioco e accadono cose splendide. Un’altra esperienza positiva è stata senza dubbio il Giffoni”.
Raccontaci la tua esperienza al Giffoni
“Come giuria, per la prima volta, ho partecipato a 12 anni: mi hanno selezionato loro ad Avola nel tour che facevano in tutta Italia e da lì non ci siamo mai separati. Ho fatto parte della giuria credo per 10 anni. Mi richiamavano ogni anno fin quando io e il gruppo di amici giurati provenienti da tutta la nazione siamo diventati il pilota della Masterclass: è stata un’esperienza enormemente formativa, perché ho imparato cosa significa connettersi, avere uno sguardo critico e magico sulla realtà, così come magici sono stati quei momenti vissuti al Giffoni, che secondo me è una delle esperienze culturali più rivoluzionarie che ha visto l’Europa dagli anni ‘70 in poi. Ho imparato molto da Giffoni, da Claudio Gubitosi, che è anche lui un mio mentore, un mio ‘padre spirituale’: mi ha cresciuto, è riuscito a smussare i miei angoli ed è una delle poche persone, nella mia vita, che sia riuscito a comprendermi veramente e andare oltre le mie resistenze, i miei muri. Giffoni riesce a entrare nell’anima perché dialoga con i giovani. In seguito ho anche lavorato con loro, ma la mia strada, ahimè, è una strada solitaria e ho dovuto abbandonare l’isola felice di Giffoni nonostante sia stato felice e orgoglioso di aver lavorato in quel contesto. E poi sono tornato come ospite, dalla platea sono passato al palco. Ciò è molto bello ed emozionante perché quest’anno, quando abbiamo presentato al Giffoni il film ‘L’Abbraccio’ di Davide Lorenzano sul giudice Antonino Saetta, mi riconoscevo negli occhi dei ragazzi, nella passione che emanano continuamente e in maniera pura. Mi sono commosso, perché io in qualche modo sognavo di poter fare cinema e quel sogno mi ha accompagnato fino a quando si è realizzato. Nel momento in cui mi sono confrontato con i giovani giurati della Masterclass mi sono detto ‘beh Cristian, è la prova che è possibile’. Posso dire di essere stato fortunato perché ho creato la mia fortuna: rispetto agli altri avevo il sogno e la voglia di volerlo realizzare, questa è la vera potenza. Se ami il tuo sogno non potrà fare altro che realizzarsi. Ovviamente è una cosa che necessita tempo, disciplina, che comporta una marea di fallimenti, però è materia alchemica e tutti i fallimenti portano a condensare una sostanza che da bronzea, prodigiosamente, diviene aurea”.

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La pioggia ha finito il suo percorso, così come io e Cristian abbiamo terminato la nostra intensa chiacchierata. Ora le stelle sono più luminose e guardandole mi dico che sì è vero, se non smettiamo di credere nei nostri sogni loro prima o poi crederanno in noi.