DAI RACCONTI : VENTI

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Racconti

VENTI

di  Antonino Leotta

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Mio nonno paterno viveva a contatto con la natura. La campagna era la sua vita. Forse sarebbe meglio dire  che.. la campagna era la sua compagna. A parte il rispetto per la moglie che gli diede sette figli e con la quale condivideva ogni decisione, l’idillio che viveva con la madre terra e. soprattutto, con i frutti della madre terra, era incommensurabile. Non esagero nel dire che dava l’impressione di accarezzarle le piante. Anche la potatura non era affatto un gesto di violenza. Era un modo di rendere ancora più bella una creatura già meravigliosa. Un sistema per renderla vezzosa e capace di attirare lo sguardo. Ritengo che mio nonno, così facendo, abbia rappresentato in maniera adeguata una vasta presenza di agricoltori, contadini e coltivatori che hanno stabilito e continuano a stabilire un rapporto con la natura. Non solo produttivo, ma affettivo.

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Ma mi interessa precisare che ho fatto ricorso a mio nonno per un altro motivo. Abbiamo appena avvertito, oggi pomeriggio, uno strano comportamento del fatto meteorologico nel nostro territorio. Certamente l’afa ci sta proprio stordendo tutti. Le ricerche ci dicono che -un’estate così-  pare che non si viva dal lontano 1929. Il riferimento alla spaventosa crisi economica mondiale del ’29, stranamente, si accostò bene alle esplosioni di una calura estemporanea. Oggi la calura, oltre ad accompagnarsi alla crisi ormai da tempo in atto, si accosta ai nostri bollenti spiriti, alle nostre guerre di tutti i tipi che dichiariamo e consumiamo ogni giorno per i più impensabili motivi. I siti, i whatsApp, la messaggistica, i quotidiani, i programmi di antenne pubbliche e private traboccano di dichiarazioni bellicose e di strategie di battaglie che si succedono vertiginosamente. E’ vero, ne uccide più la lingua che la spada, ma è anche vero che si impegnano armi di ogni genere in interminabili guerre di popoli, di etnie, di tribù. E si moltiplicano paurosamente le stragi e gli attentati. E si gioca con le armi chimiche, atomiche e nucleari. L’ultima guerra del giorno è quella degli immigrati. Che si accompagna alla guerra degli incendi che si accosta facilmente all’incoscienza, alla follia della distruzione del pianeta. Vogliamo proprio distruggerci a vicenda e distruggerlo questo pianeta. Per non lasciare più posto a nessuno dei viventi.

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Da uno scenario di guerra torno alla saggezza di mio nonno. Lo strano fatto meteorologico appena percepito, ci ha fatto provare per una buona mezzora una leggera brezza che proveniva da Catania verso Acireale. Abbiamo avvertito qualche lontano tuono e la sensazione di un avviso di pioggia. Un falso allarme durato pochissimo.

Mio nonno, molti anni fa, mi spiegò cosa era il “Vento del Sud”, il vento di mezzogiorno. Lo chiamava “Austru”. Da noi molto spesso durava poco e arrivava raramente alla fase conclusiva della pioggia. Perciò i nostri antenati acesi, siccome proveniva da Catania, lo personificavano decisamente ai catanesi. “E’còmu i catanìsi: s’allàrgunu a ùcca come na cirénga e poi scumpàrunu comu ‘n’ancìdda” (spalancano la bocca come una cernia e poi svaniscono come un’anguilla). Sono proprio tanti oggi gli imbonitori che promettono mari e monti. E, poi, li vedi svanire e perdersi avvolti nell’ultima parvenza di brezza che non porta niente di nuovo.  

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Purtroppo, dopo una breve illusione, continua, invece, a dominare prepotentemente lo scirocco, il vento del sud-est. Che ci avvolge, ci stordisce, ci logora. Ci costringe alla sonnolenza e a scansare ogni impegno e ogni responsabilità. Rendendoci accidiosi.

Le stranezze meteorologiche ci spingono proprio a pensare che  -volere o no-  siamo sempre figli del vento. O, ancora molto peggio, canne sbattute dal vento. O banderuole.

Ci resta da chiederci quando riusciremo ad essere un vento del sud capace di concludere ogni attesa con una concretezza di pioggia ristoratrice e benefica.