GIOVANNI CARNOVALI, DETTO “IL PICCIO”

Vita dell’Artista – Nuove Edizioni Bohémien – Lo Speciale di Dicembre 2013

A cura di Alba Maria Massimino

La sua arte si sviluppava in un misto di influenze appartenenti alla tradizione passata, da quella rinascimentale a quella settecentesca.

Spirito inquieto e solitario, Giovanni Carnovali, detto il Piccio (piccolo), visse tra Cremona, Milano e Bergamo, spesso ospite dei suoi committenti.

IL PICCIO

il piccio1Richiestissimo come ritrattista, tendeva alla realizzazione di opere a soggetto storico o mitologico, oltre che di paesaggi realizzati con una stesura audace, dal colore steso a tocco e macchia, tale da evocare immagini e atmosfere cariche di suggestione.

Figlio di un muratore, esperto in giochi d’acqua per fontane, nacque a Montegrino Valtravaglia il 29 settembre 1804 e, prestissimo, entrò all’Accademia Carrara di Bergamo studiando sotto la guida di Giuseppe Dotti che subito intuì l’eccezionale talento di questo suo giovane allievo.

Manifestò precocissimo talento nel copiare e nell’imitare sia le opere degli artisti lombardi, veneti ed emiliani dei scoli XVI e XVII, sia quelle neoclassiche.

Crescendo, non volle seguire nessun movimento artistico, vivendo appartato e quasi senza amicizie.

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La sua arte si sviluppava in un misto di influenze appartenenti alla tradizione passata, da quella rinascimentale a quella settecentesca. Viaggiò molto in Italia e, instancabile camminatore, compiva i propri pellegrinaggi artistici spostandosi da una città all’altra, spesso a piedi. Studiò con entusiasmo a Parma il Correggio, del quale riuscì a carpirne il morbido sfumato, e fu attratto anche dalla grazia del Luini.

Fu pure in Francia e in Svizzera: studiò dal vivo la pittura francese del Settecento, sia nelle opere di Watteau sia in quelle di Fragonard verso cui si sentiva più incline. Nel 1845, con l’amico Tréocurt (uno dei pochi che frequentava) giunse a Parigi.

Dei contemporanei francesi ebbe modo di ammirare le opere dei pittori di Balbizon e quelli di E. Delacroix di cui studiò la tecnica, come dimostra “La morte di Virginia”, opera molto simile al modo di dipingere del pittore francese.

Era considerato artista fuori dalla moda. Il suo carattere bizzarro e poco socievole, e la vita randagia che conduceva, della quale Trécourt ha lasciato qualche scritto, lo resero solo, sia nella vita sia tra gli artisti.

Oltre a Trécourt, gli fu amico Federico Paruffini ed ebbe la stima di Hayez che intuiva le sue grandi qualità artistiche, sfocianti in uno stile personalissimo, diverso dalle norme accademiche e dai modelli del Romanticismo.

il piccio2Il talento sentimentale e fantastico manifestato nei paesaggi e nelle scene di genere mitologico e biblico lasciava intravedere le sue approfondite conoscenze letterarie.

I temi trattati venivano narrati con un colore caldo e tonalmente accordato, che era all’opposto dei modi correnti; mentre la natura, con le sue luci e le sue ombre, creava un’atmosfera che investiva le forme.

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Spesso, per la critica, le sue opere divennero molto discutibili. Invece, era l’inizio di un completo rinnovamento della pittura lombarda di quel periodo. Realizzò molti ritratti per gli aristocratici bergamaschi, mostrandosi attento interprete di temperamenti e psicologie. Morì annegato nel Po, presso Cremona, il 5 Luglio del 1873. Giuseppe Diotti, in una lettera indirizzata ad un amico, aveva scritto sull’artista: <<Io predico che, se costui spiegherà nell’immaginazione i medesimi talenti che nell’imitazione dimostra, diverrà non un artista bravo, ma eccezionale>>.