LA VIA DEI MULINI

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LA VIA DEI MULINI

Diario di un viaggiatore: Itinerari   NUOVE EDIZIONI BOHEMIEN

A cura di  Antonino Leotta

 

Ho percorso la Via del Mulini.

Lo abbiamo fatto domenica scorsa con mia moglie Giusy unendoci a un gruppo di una ventina di persone con l’organizzazione  della “Grasso Viaggi” di Acireale. Ci ha accompagnati una Guida molto preparata che, oltre alla minuziosa presentazione dei siti, della loro storia e del loro uso, ci ha fornito, lungo il percorso, un’ampia panoramica del cammino storico del territorio.

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A questo punto devo fare un personale breve tuffo nel passato che trova dei momenti confortanti nella riscoperta di preziose radici.

Il mio nonno paterno aveva un terreno in quella zona che conduce alla Reitana. Andavo spesso a trovarlo e ricordo il gioco delle “saie” che si intrecciavano trasportando acqua senza sosta. Era meraviglioso il tempo della irrigazione dei terreni con la successione del cambio dei “zappéddi”  per la deviazione del flusso e la possibilità di immergervi i piedi nudi durante l’apertura delle “sconche”. C’era anche, nei pressi, una torre alta che serviva a  imprimere una forte pendenza al flusso delle acque e c’erano disseminate anche diverse “gebbie” di raccolta.

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Da quel posto era breve il passo per raggiungere il centro di lavorazione del lupino immerso nelle acque e la immancabile degustazione. Anche mia moglie ha vissuto quelle esperienze e, addirittura, ricorda una gita di istruzione organizzata dalla Scuola Media dopo la quale gli alunni dovevano consegnare una relazione. Lei vinse una borsa di studio che la accompagnò per i tre anni proprio per il suo esauriente e originale scritto.

Entrando nel tema, è obbligatorio qui citare la preziosa opera di Saro Bella, un conterraneo studioso del territorio. Nel 1999 Saro Bella curò la pubblicazione del volume  “Acque, ruote e mulini nella terra di  Aci” per conto del Comune di Acicatena. Una appassionata  storia dell’ambiente, degli abitanti, della loro economia, dell’organizzazione istituzionale e commerciale. All’origine e al  centro del lungo periodo di oltre cinquecento anni di percorso, c’è stata sempre nel nostro territorio la presenza preziosa dell’acqua, della sua contesa proprietà  e del suo molteplice utilizzo.

Certamente l’acqua nasce dalle viscere del grande vulcano. E teniamo presente che, accanto a quel sito dei mulini, si affianca la zona di Santa Venera al Pozzo che ha accolto una residenza romana sin dal primo secolo d.C. e che custodisce ancora i resti delle Terme e la sorgente di quell’acqua sulfurea incanalata dal Barone Agostino Pennisi di Floristella che realizzò le Terme di Santa Venera ad Acireale.

Due anni fa, poco prima dell’inizio della pandemia, organizzata dal   Kiwanis Club di Acireale in collaborazione con l’Accademia Zelantea, si tenne un incontro con una relazione dello stesso Saro Bella dal quale emersero indicazioni per la valorizzazione del territorio. In quella occasione nacquero delle targhe esplicative in diverse lingue che vennero poste lungo il percorso.

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Domenica ci siamo immessi nella Via dei Mulini portandoci a poche centinaia di metri oltre la Piazza della Reitana verso l’inizio della collina di Vampolieri. Abbiamo incontrato i primi mulini oggi trasformati in ville come “Paratore” e “Zzà Nèdda”. Ci siamo accostati alla “saia mastra” di cui si conserva una robusta muraglia e siamo scesi al piccolo borgo Baracche con la Chiesa di Sant’Andrea e il vicino mulino di  “Don Pippìnu”.

Una ridente passeggiata lungo sentieri circondati dal verde con alberi dalle mille forme e giardini e fiori. Accompagnati dal gorgoglio dell’acqua.

Attraversando, poi, la statale 114 ci siamo portati alla frazione acese di Capomulini dove abbiamo concluso la passeggiata di circa quattro kilometri constatando la presenza del corso dell’acqua che concludeva la sua corsa in mare. Caratteristica, in una sala centrale di un ristorante, un’ampia parte coperta da un vetro alquanto spesso sotto il quale scorreva l’acqua che, in quel luogo, un tempo veniva utilizzata per conciare delle pelli di vacche.

Ma era molteplice l’utilizzo delle acque nei mulini. Uno delle più redditizi fu quello dell’accoglienza dei bachi da seta la cui lavorazione portò alla commercializzazione della seta. La macina del grano e la vendita delle farine, la cura dei lupini, la macerazione delle fibre vegetali, la cura della lana e la concia delle pelli si affiancarono e si alternarono lungo i secoli animando una delle fiere più importanti della Sicilia. Che ottenne addirittura il privilegio di essere esentata da tasse distinguendosi come “Fiera Franca”.  Evidentemente l’acqua come alimento dissetante, come strumento di pulizie, come elemento indispensabile per la irrigazione dei campi e per lo sviluppo dell’agricoltura divenne anche motivo di forti guadagni e di inevitabili contese.

E proprio domenica abbiamo appreso che è stato ammesso al finanziamento della Regione Sicilia il progetto di restauro del “La via dei mulini” che interessa i Comuni di Acicatena e Acireale. Ci auguriamo che ciò avvenga il più presto possibile.

E, in fatto di acqua, non possiamo non accennare alla presenza dei Greci nel nostro territorio. Pare che fosse Xifonia la città qui da loro fondata con l’utilizzo del porto nel sito, in seguito denominato Capomulini.  E, nel mondo mitologico, Omero parla di Efeso che lavorava il ferro nei meandri del Vulcano dove trovarono posto le fucine del Dio del fuoco (che i Romani chiameranno Vulcano).

E qui si innesta la leggenda di Galatea e di Aci.

Galatea, una delle cinquanta figlie dell’antico dio del mare Nereo, si innamorò di un pastorello che pascolava il gregge sulle colline ai piedi del grande monte. Uno dei ciclopi di nome Polifemo che lavorava con il Dio del fuoco, s’invaghì della bellissima nereide (figlia di Nereo) di nome Galatea. Il ciclope minacciò il pastorello Aci intimandogli di non avvicinarsi alla ninfa. Quando li scoprì insieme lo colpì a morte con un macigno. Galatea straziata invocò Giove e ottenne dagli Dei che il rivolo di sangue del pastorello si trasformasse in un corso di acqua. Così Galatea ninfa del mare può vivere ancora stretta sempre al suo Aci nel continuo abbraccio con l’acqua.

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L’acqua, dunque, è anche fonte di amore per gli abitanti di questa terra.

Ho scritto tanto tempo fa un dramma in versi endecasillabi a rima baciata dal titolo “Il mito di un amore”. Lo hanno recitato diecine di  volte i ragazzi alunni delle nostre scuole. In conclusione, ho messo sulla bocca di Galatea questi versi:

Giove potente e Venere ch’è amore

hanno dato conforto oggi al mio cuore:

oh Aci, ora qui le nostre vite

nell’acqua resteranno sempre unite.

 

La storia che ha segnato la mia vita

invece che lasciarmi qui avvilita,

m’insegna che l’amore è assai più forte

del pianto, del dolore e della morte.

 

E, a conclusione, un corifeo proclamerà:

 

Questa è la terra d’Aci e Galatea

abitata da Venere, la Dea!

Questa è la nostra terra sempre in fiore

e sotto questa terra scorre amore!

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Noi abitanti del territorio delle Aci poggiamo su un territorio alimentato da un bene preziosissimo. Che ha la forma dell’acqua. Ma che si può chiamare amore.Foto 9