Le ingenue falsità della globalizzazione 

Attualità

A cura di Enzo Coniglio

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Joseph Göbbels, ministro della propaganda tedesca nazista, lo aveva capito ed espresso molto bene negli anni trenta:“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Ed è proprio di luoghi comuni, di stereotipi, di “idola tribus” e di “idola theatri” alla Francesco Bacone che è infarcito il nostro comune pensare che il sistema scolastico può, ingenuamente o volutamente, rafforzare.

Un esempio per tutti.  E’ praticamente impossibile sfogliare qualunque quotidiano o selezionare un programma radiofonico o televisivo senza imbattersi in proposizioni del tipo:“nell’era della globalizzazione”; oppure: “Viviamo in un mondo globalizzato”.

Nulla di più falso: i 7 miliardi di persone che compongono il mondo, non sono globalizzati e in tutte le ere abbiamo assistito a tentativi di “globalizzazione”. C’è chi vorrebbe vederli globalizzati esportando”modelli di civiltà” e di “democrazia” alla George  W. Bush. 

Cerchiamo allora di imbastire sull’argomento, qualche riflessione a bassa voce, come siamo soliti fare sugli argomenti che riteniamo fondamentali.

La globalizzazione esprime la convinzione tutta nord-americana e occidentale che la“democrazia occidentale” e il “libero mercato” siano in grado di “omogeneizzare e omologare” il modo di pensare e di agire di tutte le persone a livello planetario, rendendole oltretutto migliori. Per questi incalliti ottimisti occidentali il mondo sarebbe addirittura già in fase avanzata di globalizzazione: lo affermano spudoratamente anche se, da un esame statistico si rileva che gli occidentali sarebbero circa un miliardo in un mondo di sette  miliardi di persone con lingue, costumi, tradizioni e valori i più disparati. D’accordo,si ripete… ma in corso di globalizzazione.

Provate a dire ad un Indù, a un Buddista o a un Islamico che sono “globalizzati” dagli occidentali americani. Provatelo a dire ad Abu Bakr al-Baghdadi, ai Dalai Lama, a  Xi Jinping,  a Kim Jong-un, o a Vladimir Putin e attendetevi una risposta… di fuoco! Chiedetelo a tutte quelle numerose comunità locali e nazionali che lottano contro le grandi potenze o lo strapotere delle multinazionali finanziarie e commerciali.

Provate a chiedere ad uno stratega di geopolitica quali Paesi saranno dominanti nel XXI secolo e vi risponderà senza il minimo tentennamento: i Paesi Asiatici!

E’ vero che nel XX secolo abbiamo assistito a fenomeni che hanno ridotto sensibilmente le distanze tra le persone e i popoli a livello  globale, grazie soprattutto al predominio dei media occidentali, alle innovazioni scientifiche e tecnologiche e agli effetti indotti della riorganizzazione finanziaria, militare e politica del mondo a seguito della seconda guerra mondiale ma da questo a dire che il mondo è globalizzato ne corre.

Sarebbe più corretto affermare che sono oggi in corso dei processi globalizzanti così come è avvenuto con l’Impero Romano, il Sacro Romano Impero, la diffusione del cristianesimo e dell’Islam, l’espansionismo cinese o giapponese, il colonialismo e l’imperialismo degli ultimi secoli.

Oltretutto la globalizzazione non ha un fondamento scientifico e tanto meno il cosiddetto “libero mercato” può essere considerato il suo fondamento perché il mercato è una normale funzione operativa della persona umana, singola e associata.

Sarebbe più corretto o meno errato parlare di Glocalizzazione, perché esprime quella continua e complessa dialettica tra “locale” e “globale”.  Non si oppone direttamente alla globalizzazione che ritiene “equivoca e contraddittoria” nel suo universo semantico usato e abusato.

La glocalizzazione esprime semplicemente che il fondamento della società in ogni epoca è stata ed è la comunità locale formata dall’individuo, dalla coppia, dalla coppia+figli, dalla famiglia allargata, dal villaggio, dalla città, dalla Regione, dal Paese, dallo Stato… In una parola, dalla interazione degli individui organizzati in gruppi, presenti su un territorio.

L’organizzazione di questi gruppi costituisce certamente un insieme di “sistemi” che diventano “sottosistemi” se relazionati a organizzazioni più complesse. Ad esempio, la famiglia è un sottosistema del sistema quartiere ma il quartiere è un sottosistema del sistema città e così via.

La glocalizzazione estende la propria analisi dai sistemi semplici  ai più complessi,mentre la globalizzazione dà per scontato il predominio di certi sistemi universali complessi, sottovalutando volutamente le interazioni e le complesse implicazioni dei sottosistemi.

La glocalizzazione pone al centro della sua “filosofia”, l’individuo, la persona umana, il patrimonio locale materiale e immateriale della persona e del gruppo di appartenenza. Non ignora la dialettica che deriva dall’incontro-scontro dei vari gruppi all’interno della logica sistema-sottosistema ma non perde mai di vista il micro nella sua relazione con il macro.

La glocalizzazione comprende l’importanza del mercato ma sa benissimo che non potrà mai essere considerato un “primum” essendo esso una delle tante funzioni espresse della persona umana che ha assunto tante sfaccettature nel corso dei secoli. Quanto poi alla affermazione: “libertà del mercato”, il glocalismo sa benissimo che poche  espressioni sono più equivoche a causa del complesso  valore semantico che assumono le due parole unite: libertà e mercato.

La glocalizzazione riconosce l’importanza della comunicazione tra gli individui e i gruppi definiti nello spazio e gli effetti che le nuove tecnologie hanno avuto nell’accelerazione dei processi di trasformazione e non ignora, né sottovaluta le distorsioni, le superficialità, le banalità e le mistificazioni strumentali.

Un errore frequente è quello di credere che la glocalizzazione ponga l’accento soprattutto sul locale e la globalizzazione sul globale. Non è esatto in quanto la glocalizzazione  prende le mosse dal gruppo locale e lo continua ad analizzare nelle sue interazioni con gli altri gruppi, sempre più numerose fino ad arrivare alla complessa realtà nel suo insieme.

La glocalizzazione non ignora e anzi valorizza la presenza di forze globalizzanti che analizza e comprende all’interno della sua teoria generale dei sistemi e della stretta interazione tra geopolitica, geoeconomia e geocultura. La glocalizzazione sa benissimo che comunità locali sane, giuste ed economicamente sviluppate sono la migliore garanzia per la pace e la giustizia universale.

Gli inglesi erano soliti dire: “Take care of the penny and the pennies will take care of the pound” (prenditi cura dei centesimi e i centesimi si prenderanno cura della sterlina).  Traslitterando possiamo dire: Prendiamoci cura delle comunità locali e le comunità locali unite formeranno il mondo giusto e ricco che vorremmo lasciare ai nostri figli”. 

L’autonomia locale è e rimane il vero fondamento e forza dell’unità nazionale ed internazionale.