Pillole di storia 2

Lo speciale : "Gli italiani debbono conoscere la verità sul Separatismo siciliano".

 

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Cronaca di un’ epoca
Pillole di storia a puntate

 

PARTE SECONDA

A cura di Giuseppe Firrincieli

 

G. Firrincieli

G. Firrincieli

 

 

 

 

 

PRIMA PUNTATA

“Gli italiani e i siciliani debbono conoscere la verità sul “Separatismo Siciliano”. Con l’inizio del 1943, la Sicilia subì una lunga sfilza di restrizioni : la repressione per i reati annonari, il razionanento del pane che consentì il proliferare del mercato nero, il divieto del ritorno in patria ai militari in licenza, l’impossibilità a far recapitare pacchi ai prigionieri in terre lontane, attraverso l’intervento della Croce Rossa o di altre organizzazioni umanitarie. La gente siciliana era affamata, impaurita, avvertiva nuovamente la mancanza dello Stato, specie fra i genitori e familiari di congiunti militari mandati a combattere in terre lontane e non avere notizie dai giovani soldati, impegnati in zone di guerra. Nessuno era in grado di fornire notizie sui morti, dispersi, o ancora fatti prigionieri e portati in terre lontane, magari oltre oceano. Chi vi parla ha avuto una esperienza diretta, ma raccontata. Mio padre, Salvatore, chiamato per il servizio militare, lasciò la sua casa a 20 anni, mandato in Abissinia per partecipare alla campagna della guerra d’Africa. Dopo aver combattuto in quel continente, mio padre, dopo breve tempo venne richiamato alle armi, in Kenia, per lo scoppio della seconda guerra mondiale alla quale partecipò e, dopo aver combattuto altre campagne di guerra, venne catturato dagli inglesi e condotto in Scozia per essere tenuto prigioniero per cinque lunghi anni. I suoi familiari non ebbero notizie per due lunghi anni, sulla sua sorte, se morto, prigioniero o disperso. Solamente nel ’46, mio padre ebbe la possibilità di ritornare da profugo a casa, ma nel frattempo erano trascorsi 12 anni. Una bazzecola??? No, un sacrificio immane!!! Le case distrutte dai bombardamenti determinarono un’ angoscia collettiva. Il sentimento patriottico, inculcato nel ventennio fascista era scemato del tutto, come era sparito, pure, il senso di appartenenza al fascismo.

 

Il generale Mario Roatta, capo di S. M. Del Regio Esercito Italiano

Il generale Mario Roatta, capo di S. M. Del Regio Esercito Italiano

 

Il generale Mario Roatta, il 5 maggio del ’43, poco prima dello Sbarco Anglo americano, aveva fatto affiggere sui muri delle città siciliane, un manifesto dal contenuto altamente provocatorio, visto che aveva rimarcato la distinzione tra siciliani e italiani : “Siciliani! – Le Forze armate Sicilia, in gran parte composte di vostri conterranei, sono qui fra voi, per difendere la vostra Isola, bastione d’Italia. Voi tutti – ne sono sicuro – affiancherete l’opera delle FF. AA. Sicilia, mantenendo in qualsiasi contingenza, calma ed incrollabile fiducia nei destini della Patria; applicando disciplinatamente e volenterosamente le disposizioni delle Autorità militari. Attendendo con lena costante al vostro lavoro ordinario, e a quello cui sarete chiamati per rafforzare sempre più la difesa dell’Isola; arruolandovi e – se sarà necessario – combattendo nelle Centurie Vespri di imminente costituzione. Strettamente, fiduciosamente e fraternamente uniti, voi fieri siciliani e noi militari italiani e germanici, delle FF. AA. Sicilia dimostreremo al nemico che di qui non si passa “. Il messaggio del Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito italiano non venne affatto gradito, specie negli ambienti in cui si stavano formando, tra gli antifascisti siciliani, aggregazioni e movimenti di liberazione nell’isola.

Alfredo Cucco, segretario del partito fascista in Sicilia

Alfredo Cucco, segretario del partito fascista in Sicilia

 

Tale malcontento venne notato anche da Alfredo Cucco, vice segretario del partito fascista di quegli anni, anche perché Mussolini aveva emanato un provvedimento che riguardava il trasferimento dei funzionari pubblici siciliani in altre regioni.

Benito Mussolini

Benito Mussolini

 

Il Cucco si preoccupo’ di interessare anche il duce del fatto che le restrizioni in Sicilia stavano per alimentare un malcontento, tale da far rifiorire, fra i siciliani, il sentimento separatista.

 

SECONDA PUNTATA

 

L’Inghilterra, questa volta supportata nuovamente dagli americani, determinerà, nuovamente, la sorte dei siciliani, come era successo per l’unità d’Italia e, per giunta, con un percorso tortuoso. L’Inghilterra, prima, favori la nascente aspirazione secessionista dall’Italia, voluta da molti siciliani, poi tradì quella stessa aspirazione, voltando le spalle agli stessi siciliani che pure erano stati suoi alleati, nella fase pre e post invasione bellica del ’43; e con spietata freddezza non lesino’ nemmeno il sacrificio della vita dei siciliani che avevano fatto tanto per quella nazione anglosassone. L’Inghilterra lo fece anche per garantire i futuri equilibri internazionali, prospettati nella Conferenza di San Francisco, che Intendeva ricomporre i tasselli della nuova Europa poiché in quegli anni, la Russia sovietica si imponeva come superpotenza. Ma questo è un argomento che riprenderemo in seguito, dopo aver ripercorso i fatti storici, prodotti dalle aspirazioni secessioniste dei siciliani del Secondo Dopoguerra e le feroci repressioni compiute dagli italici e dagli ascari isolani, nel periodo ’43 -‘ 48. Le pieghe storiche di quel periodo mi hanno lasciato il segno e, sicuramente per questo motivo, ho cercato di approfondire al massimo le mie conoscenze.

I partecipanti alla conferenza di Casablanca

I partecipanti alla conferenza di Casablanca

 

Il 14 gennaio del ’43, durante i lavori della Conferenza di Casablanca che durarono otto giorni, prese corpo la decisione di aprire un secondo fronte di guerra per allegerire quello Russo che stava subendo grossi attacchi da parte dei tedeschi. Prese corpo il piano di attacco all’Europa, partendo dalla Sicilia e proprio all’alba del 10 luglio del 1943 ebbe inizio la cosiddetta operazione Husky, la più grande invasione che la storia del pianeta ricordi. Per preparare il piano di invasione, già dal 1942, i Servizi dell’intelligence, sia inglesi che americani, fecero lunghe ricognizioni nel territorio siciliano. Gli inglesi e gli americani operarono autonomamente, dividendosi le aree di intervento, sia nella fase ricognitiva che operativa nella fase di presbarco che di invasione e, mentre, gli inglesi si occuparono della Sicilia orientale, gli americani operarono in quella occidentale per poi ritrovarsi insieme verso il continente italico. La propaganda inglese si era impegnata a suscitare nei siciliani animosita’ contro il potere fascista e fu determinante per loro, la presenza di un professore universitario siciliano di nome Antonio Canepa, che risultò un grande eroe, prima nella lotta partigiana a Firenze e poi nella lotta per l’ indipendenza siciliana.

Il professore Antonio Canepa

Il professore Antonio Canepa

 

L’azione di conquista, operata dagli americani, previde il coinvolgimento di gangster del calibro di Lucky Luciano e di mafiosi siciliani. Due strategie differenti quella degli americani e quella degli inglesi, ma vi è da dire che allora i collegamenti con la terra natia risultavano ben saldi, considerato che molti di loro provenivano dalla Sicilia, come lo stesso Salvatore Lucania. Quest’ultimo era nato a Lercara Friddi, era figlio di un pecoraio e all’età di 16 anni emigro’ in America, dove diventa il più famoso gangster di tutti i tempi, con il nome di Lucky Luciano.

Il gangster Lucky Luciano, al secolo Salvatore Lucania

Il gangster Lucky Luciano, al secolo Salvatore Lucania

 

E proprio Lucky Luciano divenne il principale garante dell’azione invasiva degli americani in Sicilia, tanto da consentire ai militari statunitensi del generale Patton di sbarcare sulle spiagge tra Licata, Gela e Scoglitti, all’alba del 10 luglio e di arrivare a Palermo il 23 luglio; mentre gli inglesi, al comando del generale Montgomery, arrivati in Sicilia sempre il 10 luglio, riuscirono a conquistare Catania parecchi giorni dopo e solo il 5 agosto del 43.

Il generale Patton

Il generale Patton

 

Il generale Montgomery

Il generale Montgomery

 

Una immagine dello Sbarco a Licata

Una immagine dello Sbarco a Licata

 

Un'immagine simbolo dello sbarco

Un’immagine simbolo dello sbarco

 

Soldati americani da poco sbarcati a scoglitti e in cammino per le trazzere iblee.

Soldati americani da poco sbarcati a Scoglitti e in cammino per le trazzere iblee.

 

L’azione di conquista degli americani fu più veloce perché il terreno venne preparato dalle famiglie mafiose presenti sul territorio della Sicilia occidentale.

 

TERZA PUNTATA

 

A Palermo, in quei giorni dell’invasione e precisamente il 23 luglio del 1943, faceva la sua apparizione, un uomo conosciuto in passato per la sua nutrita esperienza politico – parlamentare, perché dal 1913 al 1924 era stato sottosegretario, prima al ministero della Guerra e poi al ministero del Tesoro.

Andrea Finocchiaro Aprile capo del Comitato per l'indipendenza Siciliana (CIS)

Andrea Finocchiaro Aprile capo del Comitato per l’indipendenza Siciliana (CIS)

 

Si trattava proprio di Andrea Finocchiaro Aprile, avvocato e figlio di Camillo Finocchiaro Aprile, anche questo avvocato, ancora grande politico degli inizi del Novecento e più volte deputato e ministro di Grazia e Giustizia; caso più unico che raro, riguarda la presenza di entrambi in Parlamento dal 1913 al 1916, anno in cui il Finocchiaro padre morì. Andrea Finocchiaro Aprile aveva pertecipato alla protesta dell’ Aventino, negli anni ’24 e ’25, subendo ritorsioni fasciste per cui aveva abbandonato l’attività parlamentare, dedicandosi alla professione Forenze e all’insegnamento universitario. Il destino volle che diventasse il leader della lotta per l’indipendenza siciliana di quegli anni, e proprio nei giorni in cui avevano liberato Palermo dai nazifascisti, si presentò al popolo siciliano con un manifesto affisso vicino a quelli dell’ AMGOT, a nome del Comitato per l’Indipendenza Siciliana.

Il colonnello Charles Poletti capo dell' AMGOT

Il colonnello Charles Poletti capo dell’ AMGOT

 

Quel manifesto era stato consegnato cinque giorni prima, il 23 luglio del ’43, a Charles Poletti, Italo americano, già governatore di New York e arruolato col grado di colonnello nell’esercito statunitense in forza in Sicilia, per poi essere a capo degli Uffici degli Affari Civili della Sicilia dopo l’insediamento delle Forze alleate nell’ Isola. Il colonnello Poletti ebbe un ruolo importante nelle vicende siciliane di quegli anni e nelle sorti della nascente azione separatista. Il manifesto che portava l’avallo di 40 siciliani di spicco, quei famosi “Quaranta” che operarono sotto l’egida del CIS (Comitato per l’indipendenza Siciliana) rappresentò una posizione decisa ed ecco il manifesto: “Il Comitato per l’Indipendenza Siciliana saluta con fervido entusiasmo gli eserciti d’Inghilterra e degli Stati Uniti d’America ed i loro invitti Capi ed esprime ad essi, sin da questo primo, solenne momento, la più viva, profonda riconoscenza del popolo siciliano per averlo aiutato a liberarsi dall’incivile, barbara e deprecata dominazione fascista. La Sicilia fu sempre decisamente ostile alla dittatura di Mussolini, il quale ha tradito il popolo siciliano per appagare la sua sconfinata ambizione, asservendolo al nazionalsocialismo di Hitler, di cui egli stesso è finito col diventare nient’altro che un segugio. L’aspirazione somma del popolo è che la Sicilia sia elevata a Stato sovrano e indipendente a regime repubblicano. Dopo l’esperimento di molti decenni di unità italiana, l’isola ha dovuto penosamente constatare di non essere mai stata considerata alla stessa stregua e allo stesso livello delle altre nazioni. Il nostro proclama è ora ‘La Sicilia ai Siciliani “. Il Comitato, pertanto, confida che l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America favoriranno il disegno della creazione dello Stato Sovrano e Indipendente di Sicilia a base Democratica”. Il documento, in pratica, presentava la proposta di far partecipare la Sicilia alla Conferenza di Pace, alla pari delle altre Nazioni, unendosi alle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale contro i regimi nazifascisti, come era successo per la Cecoslovacchia e la Jugoslavia nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale. Un progetto piuttosto ambizioso, quello di Finocchiaro Aprile e dei Quaranta, che non solo avrebbe garantito una identità forte ai siciliani, perché avrebbero ottenuto il riconoscimento delle potenze mondiali, ma avrebbero compiuto un passo avanti nel percorso di formazione dello Stato autonomo di Sicilia. Non passarono che pochi giorni quando siciliani antifascisti, prendendo le distanze dal CIS, costituirono un altro movimento chiamato “Fronte della Libertà”, precursore del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), promosso da comunisti siciliani capeggiati da Francesco Grasso.

Alexander Clifford, inviato di guerra del giornale londinese "Daily Mail"

Alexander Clifford, inviato di guerra del giornale londinese “Daily Mail”

 

Andrea Finocchiaro Aprile non si scoraggio’ per nulla e continuò l’azione di consolidamento del CIS, tanto che il giornalista Alexander Clifford, inviato del giornale londinese “Daily Mail”, scrisse : Questo Comitato per l’indipendenza della Sicilia, è una cosa esistente, organizzata e che molti siciliani considerano come il nucleo del loro avvenire politico. È evidente che non potevano farsi altri passi positivi se non dopo la fine della guerra. Ma questo Movimento separatista, organizzato segretamente da anni, esiste come un fatto ben definito, e i pensieri di molti siciliani si concentrano su di esso. A parte ogni questione sulla desiderabillita’ del Movimento o sulle possibilità di successo, esso deve essere riconosciuto come un fattore della situazione… “. In merito alla questione siciliana, il sorgere di focolai separatisti veniva seguito con interesse dagli angloamericani, date le prospettive di un riassetto dell’Europa e del Mediterraneo e l’obiettivo di fare della Sicilia un punto di riferimento strategico e logistico per il controllo su tutto il bacino.

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In proposito, due anni dopo, Antonio Trizzino, vicino al Movimento indipendentista, pubblicò un volumetto nel quale asseriva che l’articolo di opinione scritto dal Clifford derivava da un incontro con Finocchiaro Aprile, il quale aveva detto : Non potete avere un’idea di quanto male il regime fascista abbia fatto all’Italia e alla Sicilia in particolare; intere famiglie sono state distrutte, risparmi dilapidati e uomini imprigionati, semplicemente perché non portavano il distintivo fascista. Negli alti posti di Roma c’è una corruzione, basata sul denaro e sulle donne, che fa assomigliare a riunioni di madri del peggior periodo dei Borgia (un quadro che oggi appare di estrema attualità!). Dal modo in cui siete accolti, avete visto che la popolazione è dalla vostra parte. La Sicilia aveva un Parlamento, anche prima che l’Inghilterra lo avesse. Speriamo che l’Inghilterra ridia alla Sicilia il suo Parlamento”. Proprio l’Inghilterra determinò le sorti della primavera siciliana, prima ricca di speranze, ma purtroppo, ancora una volta abbandonata e poi costretta ad una sua ennesima capitolazione! Il sorgere di focolai di Indipendentismo in Sicilia furono di grande interesse anche per gli americani, tanto che sul “New York Times” del 22 agosto del ’43, venne pubblicato un articolo a firma di Herbert Matthews.
Ma di questo ne parleremo ampiamente nelle prossime puntate.

 

QUARTA PUNTATA

Appena pubblicato l’articolo di Herbert Matthews sul “New York Times”, riguardo al movimento indipendentista che stava portando avanti Andrea Finocchiaro Aprile, Luigi Sturzo, che in quel periodo era esule negli Stati Uniti, commentò quel fatto su “Italia libera di New York”, nel settembre del 1943: “Non si sanno i nomi dei 40 siciliani che, secondo l’accenno del giornalista americano, si recarono da qualcuno DELL’AMGOT a esprimere il loro desiderio di costituire la Sicilia in Indipendenza.

Don Luigi Sturzo

Don Luigi Sturzo

 

Ottimi cittadini, senza dubbio, con rettissima intenzione e forse anche in posizione rappresentativa di altri 40 cittadini, essi non si accorsero che sbagliavano indirizzo. Invece di appellarsi al popolo per dichiararsi indipendenti dal Regno italiano s’indirizzarono agli Angloamericani per domandare il regalo dell’indipendenza. Cari signori Quaranta, indipendenti si è per volontà propria o per volontà storica accettata con convinzione; nessuna autorità straniera può renderci indipendenti quando manca la coscienza di esserlo e la volontà di divenirlo per virtù propria o per altrui concessione. Don Sturzo aveva lanciato un messaggio profondo e premonitore, ma nello stesso pieno di speranza per i sicilianisti, tanto che lo stesso Andrea Finocchiaro Aprile, una volta consolidato il movimento indipendentista, nei suoi comizi, tenuti nelle maggiori città siciliane, parlava e proponeva un imminente plebiscito, con il quale il popolo potesse affermare la propria volontà sull’avvenire della nostra Terra. Ma il messaggio di don Sturzo, che aveva fondato il Partito Popolare, venne recepito diversamente dai suoi discepoli siciliani : Salvatore Aldisio, Mario Scelba e Bernardo Mattarella e dai politici romani a lui collegati, ma legati al Vaticano, come Alcide Degasperi.

Salvatore Aldisio

Salvatore Aldisio

 

Mario Scelba

Mario Scelba

 

Bernardo Mattarella

Bernardo Mattarella

Don Luigi Sturzo, quando rientro dallesilio, in Italia, non continuò a fate politica attiva e neanche aderi alla nascente Democrazia Cristiana. Alla fine del mese di ottobre del 1943, Mario Scelba, che era stato allievo prediletto di Luigi Sturzo, entrambi di Caltagirone, ai suoi esordi politici, parlando ai microfoni di Radio Roma, commentò l’articolo dell’Esule fondatore del Partito popolare italiano e disse:” Gli attivisti del Separatismo sono una sparuta minoranza e gli uomini che capeggiano il movimento sono parte di reliquati politici della vecchia socialdemicrazia siciliana, i quali si servono del separatismo come arma di ricatto per conservare o recuperare un predominio politico malamente acquisito e peggio esercitato “. Al pensiero separatista si opposero il partito comunista siciliano, che iniziò a parlare di un programma di autonomia amministrativa, e la Democrazia Cristiana che portava avanti un progetto di autonomia siciliana e che prese il sopravvento, solo alla fine del ‘ 45, e dopo lunghi episodi delittuosi, senza mai trovare i veri colpevoli e mandanti.

Andrea Finocchiaro Aprile capo del Comitato per l'indipendenza Siciliana (CIS)

Andrea Finocchiaro Aprile capo del Comitato per l’indipendenza Siciliana (CIS)

 

Un'immagine di un comizio di Andrea Finocchiaro Aprile a Palermo

Un’immagine di un comizio di Andrea Finocchiaro Aprile a Palermo

 

Andrea Finocchiaro Aprile, nato a Lercara Friddi, aveva seguito sin da giovane la sua famiglia a Roma, dove si era laureato in Giurisprudenza, aveva esercitato la professione di avvocato e si era dedicato anche all’insegnamento universitario negli Atenei di Ferrara e Siena. Risiedendo sia in Emilia che in Toscana, il professore Finocchiaro Aprile si era ben presto reso conto delle diversità esistenti con la sua terra d’origine, sotto il profilo economico e sociale, per cui, con la sua pura filantropia e con il suo ardente desiderio di riprendersi la sua terra, decise di impegnarsi a sanare i mali della Sicilia. Gli alleati, arrivati nella sua Isola, si ponevano come l’unica forza capace di poter costituire il punto di appoggio per sollevare le sorti del suo popolo, rendendolo libero dal fascismo e dalla schiavitù italica. Le speranze di libertà di una Sicilia, colonia d’Italia, prendevano corpo. Già nel ’42, Andrea Finocchiaro Aprile aveva fondato il “Circolo dello Scopone”, una sorta di club per giocare a carte. In quel circolo, le carte, però, non futono mai toccate ed i frequenti incontri che si tenevano erano tutti tra antifascisti. La sede del circolo era la casa del professore Giovanni Baviera, un luminare del Diritto romano, ex deputato liberale, che abitava in via Ariosto, nei pressi del Giardino Inglese. I frequentatori erano avvocati, professionisti, professori, nonché nobili del capoluogo; alcuni notabili avevano fatto sì che il movimento separatista di Finocchiaro Aprile godesse del benestare della mafia altalocata. Purtroppo per quei tempi, specie a Palermo, senza il benestare della mafia non si poteva andare lontano, considerato anche che lo Sbarco nell’Isola era stato appoggiato da Cosa Nostra americana e dalla mafia locale, come anche l’Amministrazione Poletti. Ma del benestare della mafia, ne parlereno anche in una delle prossime puntate e per bocca dello stesso Finocchiaro Aprile, in seguito ad una intervista fatta da un giovanissimo Igor Man, inviato del Settimanale “Domenica” di Roma.

 

QUINTA PUNTATA

 

La mafia, a partire dal 1867, ebbe un ruolo forte nell’appoggiare la borghesia agraria, come nel 1894, il governo piemontese, dalla mafia, ebbe un grande aiuto, specie nell’azione repressiva contro l’intera popolazione siciliana e meridionale. In pratica, le vicende storiche dall’unità ad oggi insegnano che la mafia si alleo’ sempre con i partiti più forti e quelli che stavano al potere, men che con Mussolini, il quale pensò di combatterla, però poi, sostituirla con i suoi gerarchi fascisti.

Andrea Finocchiaro Aprile

Andrea Finocchiaro Aprile

 

Andrea Finocchiaro Aprile, destinato a diventare il leader della lotta indipendentista siciliana, venne definito dagli americani il gentiluomo di Palermo. Dal 1939 al 1940,prima della dichiarazione di guerra, da parte dell’Italia, ebbe diversi contatti con politici inglesi e, tramite il Vaticano, presso l’ambasciata inglese a Roma, strinse intensi rapporti con agenti del Foreign Office, proprio per suggellare l’accordo che avrebbe dovuto condurre la sicilia all’indipendenza attraverso l’antifascisno. Per molti anni, vissuto a Roma e nel centro Italia, Andrea Finocchiaro Aprile non aveva dimenticato la sua Terra, tanto che in un discorso a Partinico, il 20 agosto del ’44, ebbe a raccontare che Movimento per l’indipendenza della Sicilia era sorto parecchi anni prima nella più segreta clandestinità. Il gentiluomo, arrivato a Palermo nel gennaio del’ 42, prese i primi contatti con gli amici siciliani e iniziò a collaborare come osservatore per conto degli inglesi; rientrato a Roma, ritornò nuovamente e denifitivamente nel capoluogo siciliano il 9 luglio del ’43, guarda caso alla vigilia dello Sbarco angloamericano. Chiaramente, il Finocchiaro Aprile, essendo molto conosciuto perché era stato in politica, la sua presenza nell’ Isola non passò inosservata. L’avvocato gentiluomo entrò a far parte di quelle organizzazioni antifasciste che nacquero alla fine del ’40 con il nome “Sicilia e Libertà” e, molto presto ne divenne il presidente per fiducia e volontà unanime, tanto che le medesime organizzazioni ben presto cominciare a coltivare il suo stesso ideale srparatista.

Charles Poletti, a capo DELL'AMGOT

Charles Poletti, a capo DELL’AMGOT

 

Il colonnello Charles Poletti, ebbe un ruolo molto importante anche nelle vicende presbarco, dello sbarco e appoggiò anche l’organizzazione srparatista; pare che lo stesso ufficiale americano, essendo oriundo piemontese, fosse sbarcato nell’isola un anno prima e che avesse soggiornato nella vicina villa di un parente del latifondista Lucio Tasca Bordonaro, con compiti esploratvi e per pianificare l’arrivo delle truppe americane prima e poi, per la costituzione del Governo Alleato in Sicilia (AMGOT), in cui assunse una grande popolarità nell’isola. Charles Poletti tese anche la mano a Finocchiaro Aprile, e acconsenti l’affissione di manifesti del CIS, tanto che Finocchiaro Aprile, passeggiando per le vie di Palermo ascoltava gli umori della gente davanti a quei manifesti e sentiva qualcuno condividere la voglia dell’indipendenza; per lui era solo uno, ma suscettibile di diventare, in poco tempo, il grido di tanti. A questo punto e per il momento, debbo intrecciare la figura di Finocchiaro Aprile con quella del professore Santi Rindone e del Mis. Ci trasferiamo, per un attimo, in Sicilia orientale,alle pendici dell’Etna, e precisamente a San Giovanni la Punta, in provincia di Catania.

Il professore Santi Rindone

Il professore Santi Rindone

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In quella cittadina del versante Sud est del Vulcano, località vacanziera estiva, insisteva la villa del prof. Santi Rindone, famoso chirurgo catanese, diventata la sede di incontri di parecchi amici indipendentisti, per lo più professionisti, da qualche anno primo dello sbarco. Nello stesso luogo di vacanza vi erano le ville dell’avvocato Carlo Ardizzoni e dell’avvocato Salvatore Gallo Poggi. Entrambi i due avvocati avevano ricoperto la carica di sindaci di Catania, ovviamente in periodi diversi e le loro residenze estive nel paese etneo erano diventate i loro rifugi dai bombardamenti che hanno preceduto lo Sbarco per un gran numero di amici e parenti, ma anche i luoghi di aggregazione di antifascisti che condividevano l’idea separatista.

 

SESTA PUNTATA

 

Già dal novembre del ’42, la villa del Professore Santi Rindone era diventata centro di aggregazione e di discussioni di natura politica, pronti a fare emergere, da un gruppo antifascista, una unione di separatisti. In quella villa vacanziera di San Giovanni La Punta, a pochi chilometri da Catania, nacque il MIS (Movimento per L’indipendenza Siciliana). I separatisti catanesi non erano a conoscenza dell’attività politica dei palermitani, capeggiata da Andrea Finocchiaro Aprile, tanto è vero che la fusione fra MIS e CIS avvenne solo più tardi. Le azioni dei separatisti non furono contemporanee, tanto che i primi manifesti del CIS apparvero nei “cantoni” di Palermo il 23 luglio del ’43, mentre a Catania, il pensiero separatista venne ufficializzato più tardi, il 5 agosto, giorno dell’entrata degli inglesi nel capoluogo etneo e senza sapere nulla di quello che avevano fatto i “Quaranta” di Finocchiaro Aprile di Palermo, perché in quei giorni, sia la stampa che le comunicazioni erano state bloccate.

Andrea Finocchiaro Aprile

Andrea Finocchiaro Aprile

 

Nella parte orientale dell’isola, le idee patriottiche si manifestarono, per lo più, fra giovani studenti. A capo di un gruppo di universitari di Giurisprudenza di Catania, ci stava un diciannovenne, di nome Isidoro Piazza, il quale, in una intervista di alcuni anni dopo, ebbe a dichiarare :”Quando nel ’43,gli alleati sbarcarono in Sicilia, la maggior parte dei catanesi erano sfollati nei paesini etnei. Anch’io ero lassù con la mia famiglia. Ci incontravamo, gli amici, a giocare a biliardo, a passeggiare, a tuffarci in chiacchere interminabili; c’era pochissimo da fare, in quei paesini, per tanti giovani abituati alla vita di città. Fra tante discussioni, prese maggiore consistenza quella che riguardava il futuro della nostra terra. Le circostanze in cui vivevamo ci proiettavano esse stesse in quelle polemiche meditazioni, suggerite dal malessere passato e presente, volte a un futuro che desideravamo migliore. Io credo che, nella Sicilia, molti di quei giovani pensassero a queste cose. Eravamo pieni di risentimento. Si parlava dei governi del passato, che alla Sicilia non avevano mai dedicato le cure necessarie. Pure del fascismo, si capisce. Ecco perché eravamo sfruttati e poveri. Ce n’eravamo forse accorti sempre, ma non sapevamo che ci si potesse ribellare. Fu allora, mentre si avvertivano nell’aria le avvisaglie della catastrofe, che la rivolta divenne in noi un passo inevitabile. Questo Movimento, che non era precisamente un partito, ma che a un partito assomigliava molto, nacque alla fine di settembre di quel ’43.

Palazzo Paternò Raddusa, in via Etna di Catania

Palazzo Paternò Raddusa, in via Etna di Catania

 

Una decina di giovani, quasi tutti universitari, tenemmo la prima riunione in casa Paternò Raddusa, a 50 metri dal municipio. C’erano fra gli altri i fratelli ‘ Nzino e Marcello Paternò Raddusa, Sebastiano Cappellani, Giovanni Nicolosi, ‘Nzino Ruggeri, Michele Guzzardi, Sebastiano Cuscuna’. Decidemmo di propagandare quelle nostre idee, ancora non ben definite e di avvicinare il maggior numero possibile di persone che la pensassero come noi. Con sorpresa e gioia scoprimmo che a Catania, altri già coltivavano quell’idea e questo ci conforto’, non si trattava di giovani, ma di adulti e anziani. Venimmo anche a sapere qualcosa dell’azione che Finocchiaro Aprile stava svolgendo a Palermo. Erano notizie orali e vaghe, poiché i giornali ancora non ne parlavano.

Prof. Santi Rindone

Prof. Santi Rindone

 

A Catania mi dissero che il professore Rindone, un ex deputato, si muoveva in quella direzione. Personalmente non lo conoscevo. A maggior ragione lui non conosceva me, che ero un ragazzo. Ma potei arrivare a lui col tramite suo nipote, mio coetaneo, che anche lui si chiamava Santi; per distinguerlo dallo zio, lo chiamavamo Santino. Il seguito alla prossima puntata.

 

SETTIMA PUNTATA

 

Continuiamo con il racconto di Isidoro Piazza: il primo incontro avvenne nello studio privato della Casa di Cura. Quando ci andai, avevo una certa trepidazione: anzitutto perché lui era un personaggio molto importante e io non ero assolutamente nessuno; poi perché i miei amici aspettavano l’esito di quell’incontro, che per noi poteva essere un gran passo avanti; e soprattutto perché c’era ancora il divieto di far politica, cosicché quell’ approccio era clandestino e fuorilegge. Gli esposi le idee che avevamo e gli parlai di un programma di quel gruppo di giovani che io rappresentavo. A dir la verità, le idee c’erano, ma il programma no; perlomeno, era molto nebuloso. Lui mi ascoltò con attenzione, condivise tutto quello che gli dicevo, mi incito’ a intensificare l’azione e mi assicurò l’appoggio suo e dei suoi amici. Quando constatai che spirava buon vento, trassi di tasca la minuta di un manifesto che con molta diligenza avevo compilato io stesso. Dissi che volevamo affiggerlo nei muri, naturalmente senza firma; sempre per il divieto di far politica, sarebbe stato un manifesto clandestino. Non ho più nessuna copia e nessuno dei miei amici ne ha, quelle poche che qualcuno aveva, furono poi portate via dalla polizia, in una delle tante perquisizioni che faceva nelle nostre case. Comunque ne rammento il contenuto. Era tutta una censura contro i governanti italiani; dall’unità in poi. Avevo usato un’espressione che mi parve pittoresca ed efficace e m’è rimasta fissa in mente dopo tanti anni; gli industriali del Nord e i politici li chiamavo “I nuovi sardanapali lombardi”; cioè volevo, gente ricca, rapace e senza scrupoli morali verso noi siciliani. Il professore mi suggerì qualche correzione. La sera stessa raccontai tutto ai miei amici.

Il professore Santi Rindone, capo del MIS Etneo

Il professore Santi Rindone, capo del MIS Etneo

 

Il giorno dopo l’incontro con il professore Santi Rindone, il giovane Isidoro Piazza, assieme ai suoi amici, fece stampare, nella tipografia Gibilsco di via Pacini a Catania, il manifesto che venne affisso sui muri della Città. Ad “allippare” i manifesti ci pensarono gli stessi ragazzi, fra cui Gabriele Provenzale, Gianni Zingali, i fratelli Giuseppe, Gaetano e Mario Mignemi, i fratelli Enrico e Ciccio Falcidia. Questi ultimi, per la loro alta statura, furono in grado di attaccarli nelle parti più alte dei muri. Isidoro Piazza raccontò ancora:”Siccome erano tempi di coprifuoco, mentre quella notte eravamo intenti alla nostra impresa dovevamo nasconderci. Nelle strade di San Berillo alcuni di noi incappammo in una pattuglia della Military Police; ci videro da lontano e si misero a sparare, ma riuscimmo a scappare. L’illuminazione stradale era scarsa, così diventava facile dileguarsi. Basta il manifesto uscì. Era firmato Comitato Indipendentisti Siciliani, CIS. Fu anche molto letto dalla gente, ricordo. Noi stavamo a guardare fingendo indifferenza. La polizia non si diede cura di toglierlo via e restò appiccicato sui muri fino a quando non fu seppellito da altri manifesti. Non ci furono conseguenze di sorta; ma certo la M. P e la questura italiana volevano da sapere fin d’allora chi erano gli autori di quel proclama. Più certo ancora è che a noi la polizia italiana si interessò molto in seguito “. Il gruppo degli studenti universitari capeggiato da Isidoro Piazza, per sfuggire ai controlli, cercò una nuova sede di incontro perché la casa dei fratelli Paternò Raddusa era diventata troppo pericolosa. I giovani indipendenti catanesi trovarono una nuova sede di incontri presso la chiesa della Trinità di via Vittorio Emanuele di Catania, dove il canonico mise a disposizione una piccola sala dell’edificio religioso, iscrivendo ufficialmente il gruppo all’Azione Cattolica.

La chiesa della Trinità di via Vittorio Emanuele di Catania

La chiesa della Trinità di via Vittorio Emanuele di Catania

 

Si adoperarono subito a programmare piani politici, tanto che lo stesso Isidoro Piazza, ben presto, venne invitato a partecipare alle riunioni segrete che si tenevano nella clinica di via Papale del professore Santi Rindone, il presidente del MIS etneo. Fra i partecipanti a quel movimento, ancora clandestino c’erano l’avvocato Filippo Rindone, fratello del chirurgo, l’avvocato Gaetano Romeo, l’avvocato Salvatore Gallo Poggi, l’avvocato Luigi Nicolosi, rinomati professionisti del Foro catanese e che avrebbero avuto un peso significativo nella politica cittadina. Il loro primo ufficiale venne affisso sui muri di Catania, il 3 aprile del 1944, recando ben 53 firme di indipendentisti, fra le quali, anche quelle degli studenti del gruppo di Isidoro Piazza, visto e considerato che l”Amgot aveva restituito la libertà politica ai siciliani il 10 gennaio. Lindipendentisno, così ebbe due culle : una a Palermo e l’altra a Catania, in quest’ultima sede si aggiunse anche il gruppo del “Separatismo armato”.

L’ Indipendenza dei Siciliani, dallo Stato italiano e da ogni altra Signoria, italiana o straniera, è stata sempre un sogno antico e veniva cantato e raccontato da poeti popolari e persino dai “Cuntastorie”. Oltretutto più volte è stata conquistata la libertà dal Continente, ma come sempre è stata, fra luci e ombre, perduta. Quelle stesse luci e quelle stesse ombre che in quel periodo videro sorgere e svanire nel giro di pochi anni un nobile pensiero separatista di un siciliano, anch’egli martire protagonista, il quale con il pseudonimo di Mario Turri, scrisse un poemetto dal titolo “La Sicilia ai siciliani” e diventò un condottiero rivoluzionario e persona di fiducia degli inglesi. Il libro si trasformò in un viatico piuttosto accattivante e tale da indicare la via da seguire per molti giovani siciliani, studenti e non, che diventarono persino e poi ostili alla chiamata alle armi durante il governo fascista e postfascista. Il libretto venne stampato clandestinamente e fu pubblicato nel 1943 in una serie di opuscoli che lo stesso autore colleziono’ in un saggio. Ogni fascicolo diventò un capitolo dell’opera complessiva che venne pubblicata nel dicembre del ’44. Nel giro di poco tempo il volumetto si esauri e nei primi mesi del 1945 venne ristampato in seconda edizione.

Antonio Canepa con lo pseudonimo di Mario Turri

Antonio Canepa con lo pseudonimo di Mario Turri

 

Solamente in pochi sapevano chi fosse il vero Mario Turri, un professore dell’Università di Catania, insegnava Storia e Dottrina del Fascismo, materia che doveva essere da un fascista e, in questo caso, invece veniva insegnata da un “eroe del doppio gioco, una sorta di primula rossa, questo era il professore. Ma non aveva altre scelte, per quei tempi: o libero doppiogiochista, o apertamente all’opposizione, ma in carcere. L’editore di quel libretto scrisse:” Fu in tutta Italia, il primo e il più potente grido di rivolta contro il malgoverno fascista. E poiché fu un grido siciliano, la Sicilia lo intese e lo fece suo. Non si oppose agli angloamericani che sbarcarono sulle sue coste, anzi li accolse come liberatori. In tal modo la Sicilia saboto’ la guerra voluta da Hitler e da Mussolini. In tal modo la Sicilia diede il colpo di grazia alla tirannide fascista.

 

OTTAVA PUNTATA

 

Il libro "Sicilia contro Italia" di Salvatore Nicolosi

Il libro “Sicilia contro Italia” di Salvatore Nicolosi

 

Salvatore Nicolosi, nel suo libro “Sicilia contro Italia” riporta: Il primo capitolo di quel volumetto di Mario Turri si intitolava “Che cosa c’insegna la geografia e che cosa ci insegna la storia”. L’esordio era allettante: la sicilia è un’isola. Da ogni parte la circonda il mare. Dio stesso, nel crearla così, volle chiaramente avvertire che essa doveva rimanere stattacata, separata dal continente. Ecco ciò che la geografia ci insegna”. Allettante, ma opinabile : il mondo è pieno di isole, ma non tutte le isole sono politicamente “staccate, separate” dal continente. Pochissime anzi lo sono. La geografia, dunque non insegna questo, e le intenzioni del Creatore non possono essere chiamate in causa. Il capoverso, che immediatamente seguiva, introduceva il motivo storico: “Questa separazione, purtroppo, non sempre è stata mantenuta. Gli uomini si sono ribellati ai voleri di Dio, e hanno voluto riunire con la forza quei territori che Dio aveva ben separato. Non sono stati, però, i siciliani a passare lo stretto di Messina per andare a comandare sul continente. Sono stati gli uomini del continente a passare lo stretto, con la pretesa di venire a comandare in Sicilia”. Questo è verissimo. Ma che siano stati” gli uomini del continente ” ad andare a comandare in Sicilia, e non viceversa, ben si spiega: Sono sempre i più forti a soggiogare i deboli; non il contrario. Ed era proprio la storia citata, nelle pagine successive, da Mario Turri a dimostrare che non si trattava di motivi di rivendicazione, accampati sulla base di un presunto diritto, cioè di “pretesa”, bensì di conquiste realmente compiute, decine di volte nel corso dei secoli.

Mario Turri, al secolo Antonio Canepa

Mario Turri, al secolo Antonio Canepa

 

Queste suggestive proposizioni, valide sotto l’aspetto emotivo, ma prive di ogni significato sotto quello nazionale, sono la parte più debole dell’intero scritto. Forse l’unica parte più debole. Ma sono in tutto tredici righe. Nelle successive, dalla quattordicesima alla diciassettesima, si preannunciava la documentazione storica:”Noi siciliani in questo modo abbiamo perduto più volte la nostra libertà, la nostra indipendenza. Siamo stati insultati, calpestati e soprattutto sfruttati, ridotti alla miseria. Ridotti alla fame”. Dal diciottesimo al ventunesimo rigo, squilla la tromba della riscossa siciliana:” Ma quando proprio ci misero con le spalle al muro, allora sapremmo reagire anche noi; e prendere le armi; e cacciarli fuori a pedate questi signori venuti di là dal mare o di là dallo stretto”. Non era esaltante? Era un’arringa, era un discorso alle truppe schierate. Qui cominciava la lunga galoppata nella storia:”Circa 400 anni prima di Cristo, sotto la guida di Ducezio, cacciammo dall’isola i greci. Ducezio, capo militare e politico siculo, non rappresentava tutti gli isolani, ma le città non ancora cadute sotto il dominio greco. Greche erano invece Siracusa ed Agrigento. La prima volta, nel 452, avanti Cristo, vinse Ducezio; l’anno successivo, fu lui ad essere sconfitto; la terza, cinque anni dopo, Ducezio tornò a vincere. Ma sei anni appresso morì e con lui, dicono le storie, si dileguo’ per sempre il sogno di unità e di indipendenza dei siculi. Da allora per secoli, l’altalena dei siciliani è proseguita senza interruzioni: oggi ribelli e indipendenti, domani vinti e schiavi. I secoli della Sicilia sono una lunga vicenda di dominazioni e di speranze. Quella storia Mario Turri, tracciata a volo d’uccello a partire da 5 secoli avanti Cristo sino al fascismo, suscitava taluni interrogativi : una lotta così sanguinosa merita di essere combattuta, se il risultato è sempre, senza eccezioni, quello di un ritorno allo stato di subordinazione? O non è politicamente, più saggio e più utile trovare una formula che rappresenti un concreto e stabile progresso per il popolo? È da preferire un “molto” che non può essere mantenuto e un “poco” che instauri un ragionevole benessere e una lunga pace? Sono interrogativi che si pone anche oggi chi ripercorre quegli anni. Se li posero gli uomini più provveduti di allora. Ma Turri prevedeva quelle obiezioni, e ad esse rispondeva con la fierezza di Urbano II, banditore della guerra santa : l’esperienza di tante tirannidi ci ha fatto finalmente capire questa grande verità : tutte le volte che la Sicilia è stata indipendente, tutte le volte che si è governata da sé, è stata anche forte, ricca e felice. Invece tutte le volte che abbiamo dovuto ubbidire ai padroni venuti dal continente, siamo stati deboli, poveri e disperati. Ecco ciò che ci insegna la storia. Questo è scritto a pagina 6 del poemetto. Nell’ultima, pagina 40 c’è il comandamento riassuntivo, una sorta d’impegno d’onore a cui lo “sconosciuto autore” chiamava i siciliani : “La Sicilia di domani sarà quella che noi vogliamo; pacifica, laboriosa, ricca, felice, senza tiranni e senza sfruttatori! Dio lo vuole!”. Le pagine di Mario Turri furono quaranta come quaranta furono i primi sostenitori del pensiero separatista di Andrea Finocchiaro Aprile, nel luglio del ’43. Un caso? Forse no! Un numero che determinò il punto di forza di una rivoluzione prima culturale e poi armata di ben seicento mila siciliani. Ed il “comandamento riassuntivo” della pagina finale echeggio’ così forte nell’isola che ci fu un momento in cui più della metà dei siciliani furono separatisti. Da un’indagine condotta dal ministero dell’Interno, nel 1944, il MIS contava 480 mila aderenti ;la DC 35 MILA, il PCI 25 mila, i Demolaburisti 23 mila, i socialisti 7.900 e gli Azionisti 3 mila.

La bandiera dell'Evis (Esercito Volontari Indipendentisti)

La bandiera dell’Evis (Esercito Volontari Indipendentisti)

 

NONA PUNTATA

 

Mario Turri era dunque lo pseudonimo di Antonio Canepa, un uomo di spiccata intelligenza, capacità organizzativa, un vero trascinatore, ma anche una volpe perché riuscì a non fare mai scoprire né le sue vere ideologie, né le sue azioni rivoluzionarie contro il regime fascista.

Antonio Canepa

Antonio Canepa

Antonio Canepa, figlio di un avvocato e professore universitario di nome Pietro e di Teresa Pecoraro sorella di un ex deputato del Partito Popolare, era nato a Palermo il 25 ottobre del 1908. A 15 anni, Antonio Canepa, giovane liceale che abitava a Palermo nel quartiere marinaro della Cava, assorbi l’idea dell’antifascismo, tanto da tramutarsi nella voglia di diventare un nemico del fascismo.

Giacomo Matteotti

Giacomo Matteotti

La sua prima battuta contro il fascismo la formulo’ l’anno dopo, quando venne assassinato Giacomo Matteotti, commentando quell’eccidio disse :”Un governo che ricorre a simili mezzi per mantenere le sue posizioni è un governo da lottare e da annientare, costi quel che costi”. Sin da giovane, Antonio Canepa aveva mostrato la personalità di un vero cospiratore e aveva preso corpo, in lui, l’idea di diventare il leader della lotta armata separatista, anche se con le sue azioni molto discrete e segrete non lasciò adito agli storici di tracciare una cronaca netta e chiara sul suo percorso di vita. Da sostenitore ufficiale dellideale fascista, passò dalla lotta al regime a Catania al Comitato di liberazione nazionale, andando a combattere al fianco dei partigiani in Toscana per poi tornare in Sicilia e condurre la lotta armata separatista ufficialmente autonoma dal Movimento indipendentista e diventare persino il braccio armato avanzato degli inglesi in Sicilia, dal 1942, fino al suo barbaro assassinio, avvenuto il 17 giugno del 1945. Il Canepa morì, infatti, per dissanguamento causato da ferite da armi da fuoco dei carabinieri di Randazzo e per niente soccorso per poter essere salvato. L’eccidio di tre militanti dell’Evis rappresenta la prima strage di Stato del secondo dopoguerra. È necessario, analizzare attentamente gli avvenimenti di quel periodo nei fatti più salienti per cogliere quegli elementi che ci possono aiutare a trarre conclusioni probabili, più che ipotetiche. Il Canepa, nel periodo che va dalla fine del ’42 fino al settembre del’ 44, era al seguito del SIS(Special Intelligence Service) per preparare le azioni propedeutiche all’invasione prima e al sostegno armato agli indipendentisti poi. Nutriva il preciso ed unico obiettivo di separare la Sicilia dall’Italia, condizione che agli inglesi avrebbe fatto piacere per i benefici che avrebbero ottenuto accreditandosi con una presenza più forte nel Mediterraneo. Ma andiamo per ordine : nel 1929, il giovane, quasi alla laurea, prese in affitto a Palermo una casa con un grande orto sul retro, per organizzare un vero e proprio campo di tiro a segno che serviva a far esercitare lui e altri colleghi universitari. Nel 1930 si laureò in legge, discutendo la tesi “Unità e Pluralità degli ordinamenti giuridici” con il massimo dei voti e la lode. Già in quella tesi affiorava un sentimento antifascista, ma nessuno dei professori ci fece caso. Giovane laureato, Antonio Canepa si lasciava affascinare da ideologie libertarie e nello stesso tempo reclamava la somma aspirazione del diritto di un popolo, cioè la giustizia, affermando: “Sventuratamente, giustizia e politica non nacquero sorelle, anzi è tra loro continuo ed insanabile dissidio”. Con tali parole, Antonio Canepa sembra pronunciare un vaticinio, una sorta di profezia che si riscontra nella cronaca dei nostri giorni, proprio per lo scandalo in atto, con il CSM, in mano ai condizionamenti politici. Pronto a cingersi il capo dell’ aureola dell’ anarchia, il Canepa, una volta assolto il servizio di leva come ufficiale dell’Esercito di stanza a Palermo, si preoccupo’ di continuare ad allenarsi all’uso delle armi e di fondare il nucleo dei ‘Sanmarinisti “, una sorta di gruppo rivoluzionario pronto a realizzare il piano di un giovane antifascista di nome Ettore Gervasi, che prevedeva l’appropriazione di una stazione radio situata nella Repubblica di San Marino per trasmettere al mondo appelli contro il fascismo. L’operazione non riuscì, ma del resto non era la prima volta che i progetti del Canepa fallivano sul nascere e molti altri ne falliranno ancora. Aveva già progettato un attentato a Mussolini, trasferendosi a Roma, in una casa in affitto, intendendo utilizzare un corridoio poco protetto a palazzo Venezia. Il corridoio portava facilmente alle camere del duce e avrebbe facilitato l’attentato a Mussolini, ma destino volle che qualche giorno prima del previsto attentato, le guardue del palazzo avevano bene di ostruire quel corridoio, non appena verificato che avrebbe potuto essere un facile strumento di pericolo per la vita del duce. L’attentato fallì come il piano di San Marino. Il 10 giugno del ’33, Antonio Canepa e due suoi amici vennero arrestati a Catania, all’indomani suo fratello Luigi ed altri antifascisti subirono la stessa sorte. Il leader del futuro braccio armato separatista, dopo un breve periodo di carcere, venne ricoverato in manicomio per infermità di mente e il 10 novembre del 1934 venne liberato perché ritenuto un incapace psichico. Per la cronaca, Mussolini che aveva già concesso un’amnistia nel precedente mese di maggio, consentì che tutto il gruppo dei “Sanmarinisti” arrestati tornasse in libertà, ed anche il fratello Luigi che era stato condannato a dieci anni di lavori forzati, acquistò la libertà. Antonio Canepa, una volta anche lui libero, cercò ben presto di accreditarsi nelle file dei potenti fascisti e nel 1937 ottenne l’incarico di libero docente di Storia e Dottrina del Fascismo, trasferendosi a Catania. Pensò di pubblicare in tre volumi il” Sistema di dottrina del Fascismo ” dedicato a Mussolini. Nel 1938, avendo avuto riconfermato l’incarico all’università di Catania, insegnò Storia delle Dottrine politiche e Storia dei Trattati di politica internazionale.

Il trattato di Antonio Canepa

Il trattato di Antonio Canepa

 

DECIMA PUNTATA

 

A Catania, il professore entrò nelle grazie del Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Mario Petroncelli, che era anche Ordinario di Diritto ecclesiastico.

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Il corso di diritto ecclesiastico del professore Mario Petroncelli

Il corso di diritto ecclesiastico del professore Mario Petroncelli

 

Il preside ospitò il Canepa nella sua casa di Catania che si trovava nella parte alta di via Etnea e, proprio in quell’anno, il professore intensifico`le sue frequentazioni altolocate, iniziate proprio a casa del Petroncelli, tanto che riuscì ad avvicinarsi all’Intelligence inglese con l’aiuto di un giovane di origine anglosassone, nientemeno che Herbert Nelson, visconte di Bridport e duca di Bronte. Proprio nel 1941, Antonio Canepa divenne un agente del SIS (Special Intelligence Service), la più estesa organizzazione al mondo di spionaggio segreto, collegata direttamente con il Foreign Office. Nelle fasi propedeutiche all’operazione Husky, il professore ebbe un grande ruolo: agente segreto britannico collegato con la sede segreta italiana del SIS a Roma. A Catania, il SIS aveva installato in una chiesa, in pieno centro cittadino, un’altra base e gli agenti inglesi che vi alloggiavano diedero la possibilità al professore di reclutare giovani studenti per addestrarli, alla massima segretezza prima e poi alla guerriglia. Al professore venne affidato anche il compito di organizzare cellule di osservazione, visto che la Sicilia era diventata un’area sensibile ed era stata prescelta, dagli angloamericani, per l’invasione bellica contro l’asse nazifascista. Antonio Canepa, in quel periodo, svolse un’opera complessa e molto fruttuosa su due fronti: approfittando del suolo ruolo di docente universitario, continuò a coinvolgere molti giovani fidati per poter avviare una guerra psicologica contro il fascismo e alimentare il malcontento alla leva militare, facendo circolare quelle pagine ciclostilate, firmate Mario Turri, che abbiamo trattato nelle puntate precedenti. Il professore aveva ricevuto, dai vertici del SIS di Roma, precise direttive tramite il cosiddetto “Ragioniere Donovan”, un agente inglese segreto inglese, ufficialmente amministratore della Ducea dei Nelson, prima che la stessa venisse sequestrata, perché appartenente a cittadino nemico e fosse passata sotto il controllo dell’ Intendente di finanza di Catania, il dottore Guido Filippi. Il professore doveva organizzare le basi perché potessero essere sabotati: l’aeroporto militare di Gerbini, situato a 25 km da Catania e alcuni treni che viaggiavano lungo le rotaie costiere. Sempre il professore avrebbe, poi, dovuto studiare un altro piano di attacco, tale da consentire ai militari inglesi, di neutralizzare la batteria tedesca collocata a San Gregorio. Così venne sabotato il deposito carburanti, intervento che servi’ a distrarre i tedeschi dall’imminente assalto aereonavale, avvenuto qualche tempo dopo e, precisamente l’undici giugno del ’43. Tutto il resto degli attentati fallì, visto che le milizie italotedesche presero le giuste precauzioni, dopo l’attentato a Gerbini. Nei primi giorni di agosto del ’43, una lunga e pesante battaglia sul fiume Simeto, in località Primo Sole, tra truppe inglesi contro quelle Italotedesche, fece registrare migliaia di morti di entrambi gli schieramenti. Le attività spionistiche, nell’isola, erano iniziate alla fine del ’42. Gli inglesi continuavano a servirsi di giovani fidati siciliani, collegati dal Canepa, che sembra, addirittura, di averli accompagnati personalmente fino a Livorno, per essere imbarcati sui sommergibili inglesi e condotti in Gran Bretagna per essere addestrati di tutto punto. Vi è da aggiungere un fatto eclatante: Mentre gli inglesi seguirono le vicende in Sicilia orientale, con l’appoggio di strutture spionistiche, gli americani operarono nella parte occidentale dell’isola con la loro struttura spionistica della Marina militare americana, la Naval Intelligence Service, che si servì, invece, dell’aiuto di siculi americani mafiosi ed in particolare di Luky Luciano, il quale, in quel periodo, scontava una pena di mezzo secolo nel carcere di Dannemora, vicino New York. Caso strano: gli americani per occupare la sicilia occidentale si servono di Cosa Nostra di Luky Luciano, mentre gli inglesi chiedono la collaborazione al professore Canepa per occupare la Sicilia orientale. Ma di questo ne parleremo alla prossima puntata.

Un'immagine dell'occupazione delle truppe inglesi a Catania

Un’immagine dell’occupazione delle truppe inglesi a Catania

 

UNDICESIMA PUNTATA

 

Il boss Lucky Luciano

Il boss Lucky Luciano

 

I vertici militari americani si servirono di Lucky Luciano, grazie al quale, ottennero contatti con persone legate a Cosa nostra e che risiedevano nella Sicilia occidentale. La collaborazione fece sì che venisse effettuata una ricognizione presbarco, in quella parte della Sicilia, in modo da preparare le basi ad una accoglienza amica e favorevole da parte di quei siciliani, nemici delle Forze Armate Italo tedesche, presenti nell’isola. Negli States si erano registrati, all’inizio degli anni quaranta, veri e propri disordini, con scioperi e sommosse dei lavoratori del Porto di New York. Quando gli americani dovevano entrare in guerra, scoprirono che i loro porti non erano sicuri. Nelle fabbriche si scioperava e i sommergibili nemici riuscivano a spingersi fin sotto le loro coste. Una serie di attentati diffuse la paura che numerose spie si fossero infiltrate negli Stati Uniti e alcuni sabotatori vennero catturati, processati e giustiziati. La “Cosa Nostra” di Lucky Luciano dimostrò tutta la sua capacità di muoversi come uno Stato autonomo e, in un evento come la seconda guerra mondiale, trovò l’occasione di accrescere la propria forza. I cantieri della Marina militare, di Newyork, stavano lavorando sul Normandie, il transatlantico più veloce al mondo che poteva trasportare truppe consistenti in Europa, sfuggendo a possibili attacchi dei sommergibili tedeschi. Una mattina, al suo risveglio, la città di Newyork vide una coltre di fumo nero alzarsi dal porto sopra la nave rovesciata. L’idea del sabotaggio era venuta ad un uomo di Luciano, Albert Anastasia.

Albert Anastasia esponente di spicco di Cosa Nostra

Albert Anastasia esponente di spicco di Cosa Nostra

 

La mafia volle dimostrare ai militari che esisteva Cosa Nostra. Il capo di Stato Maggiore, ammiraglio Afiden e lo stesso procuratore Lhuy, approvarono la segretissima Operazione Underword. In pratica bisognava trattare con Cosa Nostra. La guerra non concedeva tempo; i servizi segreti americani si rivolsero alla malavita organizzata del Porto, sia per sedare le rivolte sindacali e sia per stringere i Patti, intesi a pianificare l’invasione in Sicilia.

Il boss Frank Costello

Il boss Frank Costello

 

Il boss Mejer Lansky

Il boss Mejer Lansky

 

I servizi della Marina militare si rivolse a Joseph Lanza e quando questi si vide davanti quegli ufficiali, dall’aria misteriosa, li spedì da Frank Costello, il quale a sua volta non li lasciò parlare e li indirizzo’ da Mejer Lunsky; questi ascoltò la loro proposta, alzò gli occhi al cielo e disse che solo Lucky Luciano poteva decidere su un affare simile. La collaborazione con la mafia americana si sarebbe prolungata con lo Sbarco e la Occupazione in Sicilia. La più grande operazione navale mai tentata nella storia. Per poter scrivere questi brani di storia vera, ho avuto a disposizione materiale giornalistico dell’epoca, stampe, locandine, volantini e libretti, e ho cercato di comporre un mosaico che raffigura l’immagine dei fatti qui riportati. Ma riprendiamo il racconto. Si narra anche di un carro armato solitario che avrebbe raggiunto la località di Villalba, in provincia di Caltanissetta, un militare a bordo avrebbe chiamato col megafono Don Calogero Vizzini e gli avrebbe consegnato il segnale della collaborazione con la mafia : un fazzoletto con la “L” di Lucky Luciano. Ma non c’è bisogno di questa leggenda! In piena zona di guerra un Combat cameraman riprese dal vivo la barca di un pescatore che trasportava un uomo d’onore a bordo di una nave militare. Quell’uomo d’onore doveva arrivare in Sicilia per portare alle “famiglie mafiose” locali le proposte di accordo ed in particolare a Calogero Vizzini, il futuro sindaco di Villalba nominato dall’ Allied Military Government Occuped Territories (AMGOT) all’interno del quale ricordiamo Charles Poletti a capo degli Affari Civili. Lucky Luciano coinvolse molti uomini d’onore, come Joe Profaci e Vincent Mangano di Newyork, Joe e Frank De Luca di Kansas City, Toni lopiparo e Thomas Buffa di Sant Louis. Della connivenza tra servizi segreti americani e malavita siculo americana si è parlato tanto, ma solo per far passare il messaggio che i veri Inidipendentisti fossero tutti mafiosi. Al cospetto degli alleati, diversi padrini divennero antifascisti e pertanto furono giudicati in grado di mantenere l’ordine. La condanna a mezzo secolo di Lucky Luciano fu annullata nel giro di poco, il boss venne lasciato libero di tornare in Italia e precisamente a Napoli e venne proposto al Congresso americano, per una medaglia, quasi fosse un eroe di guerra. La pratica però per la medaglia venne presto chiusa nel cassetto. Da rilevare che il professore Canepa non ebbe niente a che spartire né con Cosa Nostra, né con la mafia. Quando gli inglesi, il 5 di agosto del ’43, arrivarono a Catania, alcuni ufficiali andarono a cercare il professore proprio nella villa di via Etnea del professore Petroncelli. Ma di questo ne parleremo alla prossima puntata.

Il mafioso Don Calogero Vizzini

Il mafioso Don Calogero Vizzini

 

UNDICESIMA PUNTATA

 

Pillole di storia siciliana. XII Puntata Monsignore Nicolò Ciancio, prelato della diocesi di Catania, anche lui rifugiato nella villa di via Etnea del professore Petroncelli, raccontò, molti anni dopo, che Antonio Canepa uscì, quasi subito, con gli inglesi, portandosi sottobraccio una borsa di pelle nera che teneva sempre con sé. Da quel momento si persero le tracce del professore dalla “doppia anima”, freddo e dagli occhi penetranti, ma anche docile e permissivo. Ufficialmente, il Canepa andò a combattere da partigiano a Firenze, ma di lui, in Sicilia, si persero le tracce. Il professore, chiaramente, tornò in Sicilia, quando il fascismo venne debellato del tutto.

 

Il professore Antonio Canepa con la bandiera dell'Evis

Il professore Antonio Canepa con la bandiera dell’Evis

 

Il professore Canepa ricomparve a Catania il 20 ottobre del 1944, quando pensò di riallacciare i rapporti con i suoi vecchi amici; al ristorante Venezia di via Montesano incontrò Pippo Amato, con il quale si scambiarono le notizie sulle ultime vicissitudini. Era trascorso un anno dal loro ultimo incontro, Amato gli parlò degli esponenti separatisti catanesi e di tutto quello che stava accadendo anche nella Sicilia occidentale ed in particolare a Palermo e in altri vari centri dell’Isola. Il professore gli rispose che era giunto il momento di richiamare i componenti dei vecchi nuclei d’assalto per poter organizzare in tempi brevi un vero e proprio esercito separatista. Fu così che Pippo Amato pensò di coinvolgere anche uomini dagli ideali separatisti. Il clima degli arruolamenti fu favorevole alla costituzione di un gruppo armato che venne chiamato EVIS dallo stesso professore, Esercito Volontario Indipendentista Siciliano. Antonio Canepa era convinto che la Sicilia, rimanendo legata all’Italia, non avrebbe avuto la possibilità di aspirare ad un necessario progresso sociale ed economico e ripeteva sempre: “Se non riusciamo a liberare l’isola dal gioco politico italiano, la Sicilia non avrà speranza, non potrà progredire fin quando non potrà fare la sua politica. L’autonomia non basta; se noi vogliamo attuare una Repubblica Sociale, dobbiamo avere obiettivi precisi”. A conclusione, del suo libretto “La Sicilia ai Siciliani a firma di Mario Turri, nel 1944 scrisse: Nessun compromesso è possibile. Bisogna farla finita. Il momento favorevole si avvicina. Mai come ora i nostri nemici del continente hanno ricevuto tante legnate; mai hanno subito tante perdite; mai sono andati incontro a tanti disastri; sembra che Dio voglia punirli di tutto il male che hanno fatto alla Sicilia. Il momento di agire si avvicina, o Siciliani! Prepariamoci a vendicare i nostri fratelli che sono stati imprigionati, torturati, uccisi, in 80 anni di prepotenze, dal governo italiano! Prepariamoci a riconquistare la nostra libertà e la nostra indipendenza! Uniamoci tutti per questo sacro ideale! Senza distinzione di partiti o di condizione sociale, maschi e femmine, giovani e anziani, facciamo sulle tombe dei nostri padri un giuramento: liberare la Sicilia dal giuoco del continente. Questo appello è rivolto a tutti, anche ai fascisti! Non mancano purtroppo tra noi coloro in buona o in mala fede, hanno dei torti; non mancano coloro che hanno taciuto, strisciato, mentito; non mancano coloro che si sono resi complici dell’oppressore. Ebbene, anche per costoro si presenta una occasione propizia, l’ultima occasione per salvarsi. Il resto alla prossima puntata.

 

Giuseppe Amato, il primo da sinistra, in compagnia di Armando Romano e Nino Velis, i tre eroi separatisti sfuggiti alla strage di Randazzo, dove persero la Vita Antonio Canepa, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.

Giuseppe Amato, il primo da sinistra, in compagnia di Armando Romano e Nino Velis, i tre eroi separatisti sfuggiti alla strage di Randazzo, dove persero la Vita Antonio Canepa, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice.

 

TREDICESIMA PUNTATA

 

Continuiamo con la parte finale del libretto di Antonio Canepa “La Sicilia ai Siciliani” a firma di Mario Turri: ….Collaborando alla salvezza della Sicilia, essi salveranno insieme se stessi.

Mario Turri, ovvero il professore Antonio Canepa

Mario Turri, ovvero il professore Antonio Canepa

 

La nuova storia della Sicilia libera e indipendente dovrà cominciare sotto il segno della concordia e del perdono. Noi non dimenticheremo tutte le colpe che saranno riscattate, in quest’ora decisiva per l’isola nostra, con un comportamento degno di siciliani. In Sicilia o in continente, dagli spazzini ai liberi professionisti, dagli operai ai banchieri, dai contadini ai feudatari, dagli uscieri ai più elevati magistrati, dai semplici fascisti ai consiglieri nazionali, dai soldati ai generali, dagli agenti di pubblica sicurezza ai questori e ai prefetti, dai ferrovieri ai ministri, dai sacerdoti ai vescovi e ai cardinali, tutti figli di Sicilia – e tanto più, quanto più alto è il loro grado e più grandi sono le loro possibilità – collaborino con ogni mezzo alla liberazione della patria comune! Chiunque, e dovunque si trovi, faccia la massima propaganda; persuada anche gli altri che la separazione della Sicilia è ormai inevitabile: separarci o morire! Sia questo il nostro motto. Diffonda la nostra stampa clandestina; aiuti i separatisti, comunque possa a tutti i costi; si adoperi per il successo di ogni iniziativa che sarà presa dal Movimento e comunicata dal nostro organo ufficiale Sicilia indipendente. Nei piccoli centri come nelle grandi città, ciascuno costituisca un gruppo separatista, di persone fidate e devote; poche, dieci al masso; e si tenga pronto ad accorrerere, con esso dove fosse necessario, secondo gli ordini che potessero essere diramati. A stabilire i contatti, se sarà il caso, si provvederà al momento opportuno. La liberazione della Sicilia si compirà forse con tutta facilità, dato che le grandi potenze, Inghilterra e Stati Uniti, la vedono con simpatia. Però bisogna sempre avere fiducia più nelle proprie forze che nell’aiuto degli altri. Sarà tutto di guadagnato, se sapremo fare noi da soli. E lo sapremo certamente se, in questi supremi momenti, saremo stretti tra noi come fratelli. Ma guai a chi tradisce! Il passato sarà dimenticato, non l’avvenire. Da questo istante, prenderemo nota del comportamento di ciascuno. Non sono necessari grandi gesti; dimettersi dalle pubbliche cariche o rfiutarle per il futuro non è obbligatorio, finché la direzione del Movimento non dia segnale delle dimissioni in massa. Anzi si può essere utile ricoprendo un’altra carica, che rifiutandola e lasciando così che la ricopra un indegno. Guai però ripetiamo, a quel siciliano che con le parole o con gli scritti o con le azioni si azzardi ad ostacolare, anche in minima parte, il movimento di liberazione! La nostra giustizia, presto o tardi, lo raggiungerà inesorabilmente. Se noi saremo ben decisi, compatti (e certamente lo saremo) saremo anche invincibili. Popolo siciliano, popolo dei Vespri, Svegliati! Popolo grande, eroico e generoso abbi fede! Asciuga le lacrime e stringi i denti! Le tue sofferenze sono ormai alla fine. Coraggio, dunque! Tieniti pronto ad innalzare la bandiera della Sicilia libera e indipendente! La Sicilia di domani sarà quale noi la vogliamo: pacifica, laboriosa, ricca, felice, senza tiranni e senza sfruttatori. Il professore Canepa tornò a Catania si, ma voleva rimanere al di fuori di condizionamenti che potessero venirgli dall’organo politico del MIS e pertanto, assieme ad Amato, pensò di andare a recuperare munizioni al mercato nero e armi e bombe abbandonate nelle campane dove erano successi scontri e battaglie tra gli alleati e i nazifascisti. Intanto le proteste si intensificarono e addirittura, il 19 ottobre del ’44 a Palermo, una manifestazione popolare si trasformò in un vero e proprio scontro tra i manifestanti e i militari del 139mo reggimento che aprendo il fuoco fece una strage. Il seguito all prossima puntata.

 

Pippo Amato, il primo a sinistra

Pippo Amato, il primo a sinistra

 

QUATTORDICESIMA PUNTATA

 

Il bilancio della strage, a Palermo, fu di 19 morti e 108 feriti.

La protesta a Palermo, dove persero la vita 19 persone

La protesta a Palermo, dove persero la vita 19 persone

 

Antonio Canepa, sul “Sicilia Indipendente”, un giornale che veniva stampato clandestinamente, pubblicò un articolo, firmato Mario Turri, con il quale attaccava l’Alto Comissario, Salvatore Aldisio, che non solo aveva proibito i funerali pubblici delle vittime, ma aveva vietato le pubbliche riunioni e gli assembramenti nelle piazze, ed ancora, aveva ordinato l’arresto di molti separatisti, la perquisizione delle sedi del MIS e il sequestro di materiale di propaganda definito pericoloso e antistatale.

L'alto Commissario, in Sicilia, Salvatore Aldisio

L’alto Commissario, in Sicilia, Salvatore Aldisio

 

Il medesimo giornale clandestino pubblicò ancora una lettera di protesta, inviata al colonnello Stevens, commentatore della famosa radio Britannica ” Radio Londra”.

Radio Londra

Radio Londra

 

La Lega Separatista organizzò a Catania una manifestazione di protesta contro la chiamata alle armi il 14 dicembre del’44. Un corteo formato da giovani studenti, con cartelloni recanti scritte contro la leva militare e al grido “Non si parte!” si diresse in piazza San Domenico, dove, nell’ ex convento domenicano, erano allocati gli uffici del Distretto Militare.

La vecchia sede del Distretto Militare di Catania, in piazza San Domenico, da dove venne lanciata una bomba a mano, causando la morte di un giovane

La vecchia sede del Distretto Militare di Catania, in piazza San Domenico, da dove venne lanciata una bomba a mano, causando la morte di un giovane

 

La protesta continuò con urla di slogan separatisti, finché un sottufficiale, forse preso dal panico, lanciò, da una finestra del presidio militare, una bomba a mano, causando la morte di un giovane. I manifestanti vennero dispersi con violenza e l’indomani, un gruppo, delegato degli studenti, si recò in piazza Duomo e al palazzo comunale per chiedere al sindaco Ardizzone di inviare una corona di fiori e una rappresentanza di vigili urbani, ai funerali del ragazzo assassinato. La richiesta non venne accolta e la protesta si accentuo’, tanto che una fitta sassaiola prese di mira il portone del Casa municipale, fino a scaraventarlo a terra, aprendo la strada ai manifestanti che entrarono a valanga all’interno e diedero fuoco agli uffici comunali. Abbandonato il Palazzo, i giovani inferociti si diressero alla sede dell’associazione Combattendi, dove si impossessarono della bandiera italiana e la fecero a brandelli, per poi andare a protestare in altri luoghi della città. Ancora il “Sicilia Indipendente” pubblicò un nuovo articolo di Canepa :”Un nuovo eccidio è stato commesso in Sicilia. Di nuovo i soldati della Sabaudia hanno insanguinato le vie. Dopo la volta di Palermo è stata la volta di Catania. Queste vittime chiedono che sia fatta giustizia. Ma l’esperienza ci insegna che è inutile aspettarci giustizia da Roma. Noi preghiamo, supplichiamo il popolo siciliano ad avere pazienza, molta pazienza a non abbandonarsi al giusto sdegno, a non travolgere in un momento di ira i responsabili di tante nefandezze. Il gran giorno verrà! E non è lontano! Il nostro pensiero sul richiamo alle armi: Noi sappiamo bene che è necessario distruggere al più presto le orde naziste e mettere fine alla guerra.

La lapide dei morti di Palermo del '44

La lapide dei morti di Palermo del ’44

 

Abbiamo chiesto perciò, spontaneamente e insistemente, di costituire dei battaglioni di volontari siciliani che possano combattere al comando di ufficiali siciliani e sotto bandiera siciliana. Nessuno vuole saperne, in Sicilia, di obbedire ai generali fascisti, di prestare giuramento ai Savoia. Il governo di Roma conosce i nostri sentimenti. Il richiamo alle armi, perciò, è una manovra provocatoria. Ed è anche una sfida. Il governo vuole provocare disordini per poter dire che i siciliani stanno dalla parte dei fascisti e dei nazisti, per ottenere così l’aiuto degli Alleati contro il popolo siciliano. Ogni disordine deve essere evitato. Non dobbiamo cadere nel tranello che ci è stato teso”. Il giorno dopo, a Giarratana, in provincia di Ragusa, la popolazione attaccò la caserma dei carabinieri, ma di questo e di altre rivolte, ne parleremo nella prossima puntata.

Il professore Antonio Canepa

Il professore Antonio Canepa

 

QUINDICESIMA PUNTATA

 

Pillole di Storia Siciliana. XV PUNTATA. Come avevo preannunciato, il giorno dopo a Giarratana, la popolazione attaccò la caserma dei carabinieri, disarmo’ i militi e poi diede fuoco al palazzo municipale e all’ufficio del Dazio. All’inizio del ’45, le proteste popolari si allargarono a macchia d’olio. Piana Degli Albanesi, proprio il primo gennaio del 1945, si proclamo’ Repubblica popolare fino a quando, 50 giorni dopo, intervenne l’Esercito per ripristinare l’ordine governativo. Il 4 gennaio insorse Ragusa, esasperata perché venivano arrestati molti giovani, renitenti alla leva militare. Parecchi di essi si erano dati alla macchia nelle campagne circostanti. Il giorno dopo, a vittoria, venne organizzata una rivolta popolare durante la quale i militi della guardia di finanza furono immobilizzati e privati delle loro armi. Un gruppo di guerriglieri andò ad occupare le carceri, liberando una sessantina di detenuti. Nei giorni che seguirono si registrarono le medesime rivolte a Scicli, ad Avola, dove venne fatto saltare un ponte della ferrovia. A Naro, in provincia di Agrigento, venne data a fuoco la caserma dei carabinieri e a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, fecero la medesima fine uffici prefettizi e l’ufficio annonario. A Comiso, invece, venne formata un’altra Repubblica popolare e i tumulti e proteste si manifestarono in altri centri urbani, per cui vennero inviati ulteriori rinforzi militari, con l’aggiunta persino di mezzi blindati. Il governo italiano cercò di usare il pugno di ferro. Le ribellioni vennero stroncate con violenza e venne ripristinato il coprifuoco. Il giornale del professore pubblicò un articolo scomodo: “Mentre le salme dei nostri martiri sconosciuti e assassinati dal piombo italiano giacciono insepolte, alcuni rinnegati siciliani si prodigano per rendere onore agli assassini. A soli tre giorni dall’eccidio (a Palermo) la divisione sabauda dava un gran banchetto, al quale partecipavano alcune donne siciliane. Famiglie catanesi si contendono a banchetto, per Natale, i rappresentanti di quelle truppe che tanti delitti hanno commesso. Si trattava di famiglie di “unitari” e latifondisti nemici del popolo siciliano, le quali fanno assegnamento sulle baionette del re per mantenere i loro privilegi male acquisiti…. “.

Il professore Antonio Canepa capo dell'EVIS

Il professore Antonio Canepa capo dell’EVIS

 

Visto che L’AMGOT degli angloamericani aveva consegnato la Sicilia al governo italiano e si era intensificata la lotta repressiva delle Forze dell’ordine contro gli insorti e gli indipendentisti, Antonio Canepa decise di organizzare subito la lotta armata. Con Pippo Amato, il professore decise di dare avvio all’addestramento di giovani separatisti, scelti per fede e audacia. La preparazione doveva avvenire in montagna ed il primo campo di addestramento venne allestito sulle montagne di Cesaro’, dove dovevano essere formati reparti d’assalto dell’ Esercito Volontario lndipendentista Siciliano. Gli ascari siciliani, per il professore, rappresentavano il primo nemico da abbattere. Il 1944 rappresentò per la Sicilia l’anno del riscatto della propria identità e il movimento indipendente(MIS) guidato da Andrea Finocchiaro Aprile, iniziò a contare sulle famiglie facoltose dei Tasca, i Carcaci, i Cammarata, i La Motta e gli Agnello.

Andrea Finocchiaro Aprile, capo del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile, capo del MIS

 

Tutto questo faceva parte di un piano strategico del leader del Movimento per la causa politica del Separatismo. Le famiglie proprietarie latifondiste di quel periodo dovevano servire per unire i separatisti evitando di fomentare rigurgiti di rivolte contadine che sicuramente avrebbero provocato l’implosione della stessa azione rivoluzionaria. In pratica Finocchiaro Aprile doveva portare avanti parallelamente la lotta unitaria e soltanto dopo avrebbe parlato di spartizione di terre ai contadini. Nei suoi comizi esprimeva un pensiero piuttosto esplicito: ” Frazionare un latifondo per creare una nuova piccola classe di proprietari non avrebbe che questo risultato: sostituire a proprietari grossi, privi di mezzi e di iniziative, una nuova classe che come quella vecchia, sarebbe priva di mezzi e di iniziative. Nello stesso tempo, assorbendo nella proprietà un certo numero di lavoratori, aumenterebbero i disagi della classe del bracciante… L’impiego di macchine e di mezzi industriali assicurerà ai braccianti agricoli, ai quali sarà offerta la possibilità di acquistare il terreno da essi, fecondato con il loro sudore, un continuo lavoro in condizioni di dignità e di benessere”. Per delineare il progetto separatista nei suoi discorsi programmatici, Finocchiaro Aprile garantiva alla classe latifondista il mantenimento della proprietà terriera e nello stesso assicurava il lavoro ai braccianti con la possibilità di riscattare le terre in tempi brevi, ove si fosse sviluppato il processo di una vera e propria industrualizzazione agraria. Per il leader del Separatismo, gli stratagemmi politici erano il suo forte e lui riusciva a trasmettere all’uditorio la voglia di combattere per la speranza di un giorno migliore. Il capo dei MIS conosceva i secolari problemi siciliani e possedeva capacità oratoria ed eleganza dialettica fuori dal comune per convincere l’uditorio ad assecondarlo.

Rivolta ad Agrigento

Rivolta ad Agrigento

 

È da ricordare la parte finale dei suoi discorsi e dei comizi da separatista, che si concludevano con una battuta patriottica ed infiammatrice, spesso anche retorica ma che strappava lunghi e scroscianti applausi: “Tutti nel Mediterraneo miravano alla Sicilia – madre come un segnacolo di forza, di bellezza e di amore”, oppure :”… e tutti incitino alla pugna il grande popolo dei Vespri e lo sospingano verso la vittoria e forse anche verso la gloria”. Altro finale ancora, di sapore mussoliniano: “Dall’Isola del sole partirà ancora una volta l’esempio che guiderà i popoli verso le nuove conquiste del lavoro e della civiltà”. Le critiche chiaramente non mancarono, ma di questo ne parleremo alla prossima puntata.

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SEDICESIMA PUNTATA

 

Come preannunciato, le critiche, per Andrea Finocchiaro Aprile, non si fecero attendere e gliene dicevano di tutti i colori, come: “Aveva una oratoria antica e fuori moda”, “È un passatista ed il suo meridionalismo è attaccato ancora ai fasci siciliani!”. Qualche suo nemico politico lo accusava persino di essersi venduto prima a Mussolini, avendo denunciato un ebreo, nel periodo della deportazione nei campi di sterminio tedeschi, e poi di essere diventato separatista solo per il gusto di rientrare in politica e conquistare il potere.

Andrea Finocchiaro Aprile, a capo del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile, a capo del MIS

 

Il leader del MIS, però, offriva programmi fuori dal comune e oltre le proposte degli autonomisti democristiani, socialisti e comunisti che si fermavano alla attenuazione del carico fiscale, alla industrializzazione e a scelte economiche sganciate dagli interessi del Nord (sembra non sia cambiato nulla, ora come allora). Quei pochi provvedimenti sociali e strutturali non bastavano al leader Separatista, egli prospettava una soluzione radicale: Con la separazione, la Sicilia sarebbe diventata uno stato da federare con un insieme di Stati europei, uno Stato che avrebbe disposto della ricchezza di beni primari, non più oggetto di sfruttamento da parte del governo italiano. I rivali, in quegli anni, di Finocchiaro Aprile erano Giuseppe La Loggia, Girolamo Li Causi, Gaetano Martino, Giuseppe Alessi e Francesco Restivo, ma aveva anche acerrimi nemici, come Mario Scelba e Salvatore Aldisio, due discepoli di Luigi Sturzo che diventeranno per lui due tiranni. Durante uno dei suoi viaggi in Sicilia, prima dello Sbarco degli alleati, Finocchiaro Aprile aveva già preso contatti con tanti vecchi amici della politica, fra cui quel Salvatore Aldisio che gli fu nemico. Aldisio, essendo un seguace di Sturzo, aveva aderito al partito popolare fin dalla sua costituzione; eletto per due legislature a Montecitorio, aveva partecipato alla Protesta dell’Aventino, assieme a Finocchiaro Aprile, dopo il delitto di Giacomo Matteotti. Nel 1925 si era ritirato anche lui dalla politica attiva ed era ritornato in Sicilia a riprendere la professione di avvocato e quella di agronomo.

Salvatore Aldisio

Salvatore Aldisio

 

Andrea Finocchiaro Aprile andò a trovare Aldisio fino a Gela, precisamente a pochi chilometri dall’abitato, dove risiedeva in una bella villa di campagna. Alla proposta del collega palermitano, di far parte di un gruppo indipendentista, Aldisio replicò che l’idea del Separatismo era solo un’utopia e molto meglio sarebbe stato far nascere un movimento autonomista, biasimando il regime mussoliniano e lamentandosi di essere stato rovinato dal fascismo e di essere stato costretto a farsi prestare 50 mila lire, nel 1941, per colmare i propri debiti, dopo il fallimento della banca da lui amministrata e che non aveva più nulla di che poter vivere. Finocchiaro Aprile provò una grande delusione, giudicando, fra l’altro quell’individuo tracagnotto, rozzo, villano e falso, e dalla personalità ispida, ponendosi il seguente interrogativo:Come si spiega – ebbe a dire più tardi – che aveva potuto permettersi una villa del genere, peraltro realizzata negli ultimi due anni? Un anno dopo, il 30 luglio del 44, Salvatore Aldisio avrebbe ricevuto la nomina ad Alto Commissario per la Sicilia. Al Separatismo siciliano giunse una voce di sollecitazione da parte di Togliatti, ma di questo ne parleremo alla prossima puntata.

Onorevole Franco Restivo, rivale di Finocchiaro Aprile

Onorevole Franco Restivo, rivale di Finocchiaro Aprile

 

DICIASSETTESIMA PUNTATA

 

Al termine Separatismo siciliano giunse una voce di sollecitazione da Palmiro Togliatti; sul quotidiano palermitano “La Voce Comunista” venne riportato un articolo dell’Unità, a sua firma: La Libertà e la terra, questo è il sogno secolare dei lavoratori siciliani; ogni volta che il regime politico dell’Isola ha subìto, per una ragione o per l’altra, dei cambiamenti, sempre la massa fondamentale del popolo si è levata in piedi sperando che questo sogno finalmente divenisse realtà.

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E ogni volta è stata delusa. Ogni volta ha visto lo strato esiguo dei baroni e signori feudali, e quello più numeroso dei loro intermediari e agenti, rimanere padroni del potere. Anche questa volta, non vi è da stupire se, in questa situazione, la cosiddetta propaganda separatista ha, in Sicilia, determinati successi. Prima di tutto essa si collega a tradizioni storiche di lotta per la libertà del popolo siciliano che sono tutt’altro che spente e tutt’altro che da disprezzare. In secondo luogo essa sfrutta il tema vastissimo dei torti che veramente sono stati fatti alla Sicilia nel sistema dello Stato italiano”.

Andrea Finocchiaro Aprile leader del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile leader del MIS

 

Andrea Finocchiaro Aprile, poco incline al trasformismo e conciliante fra posizioni estreme, fu equidistante dagli agrari, ma anche dai contadini che rivendicavano la distribuzione delle terre e si preparavano a occuparle. Il leader del MIS sostenne che i proprietari agrari erano “decisi avversari” degli indipendentisti, ma non poté mai negare che fra gli indipendentisti ci fossero numerosi latifondisti. Molti anni più tardi, l’8 gennaio del 1971, Antonio Varvaro, disse di lui:”Faceva un po’ il pesce in barile perché voleva essere al di sopra di tutti”. Nel Congresso del MIS, del 15 aprile del 1945, Finocchiaro Aprile proclamo’ ammirazione e amicizia per uomini come i socialisti Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Carlo Andreoni e il comunista Antonio Gramsci; non diede mai il proprio appoggio ufficiale all’Evis, ma mai lo sconfesso’. Ancora, il Finocchiaro Aprile si dichiarò personalmente contrario al delitto e alla violenza, ma una volta, e non soltanto per smania di paradosso, ammise di essere “amico dei mafiosi” e aggiunse:”Quella volta stavo tenendo un comizio in un paese di mafiosi”. Con il passaggio all’amministrazione Badoglio dall’Amgot, in Sicilia, Finocchiaro Aprile tenne un comizio a Palermo il 13 febbraio del ’44, dando al pubblico presente un messaggio di apertura nei confronti dei siciliani comunisti per tenere alto l’interesse di difendere la formazione di una Nazione Siciliana: “La mia convinzione politica, economica e sociale giunge ai margini stessi del comunismo. Per questo volli, tempo fa, dichiarare al Commissario del Popolo per Gli Affari Esteri di Russia, Molotov, che creata la Repubblica sovrana di Sicilia, fondata sul principio della più completa libertà per tutti, i comunisti potranno svolgere come crederanno la loro propaganda, e che saremo lieti se taluno di essi riuscisse ad ottenere dalle popolazioni il mandato di rappresentante nell’Assemblea Nazionale Siciliana. Ed è bene, si sappia che noi condurremo la lotta per l’indipendenza con lena sempre crescente, perché vogliamo vincere e vinceremo. Ma se, per eventi al di fuori dalla nostra volontà, e che non sembrano propabili, dovessimo per avventura soccombere, le nostre falangi le nostre legioni, confluirebbero verso il comunismo. La nostra divisa è :”O indipendenza o comunismo!”. In buona sostanza, il Leader indipendentista cercava in tutti i modi di coinvolgere i partiti di sinistra a rendere la Sicilia Indipendente. Il 14 maggio del 1944, Andrea Finocchiaro Aprile venne a Catania, dove i suoi sostenitori lo portarono in trionfo dall stazione ferroviaria fino a piazza Università. Ma di questo ne parleremo nella prossima puntata.

Andrea Finocchiaro Aprile durante un comizio a Palermo

Andrea Finocchiaro Aprile durante un comizio a Palermo

 

DICIOTTESIMA  PUNTATA

 

Andrea Finocchiaro Aprile, un politico siciliano ben amato e tanto da far paura a tutti gli altri che non volevano distaccarsi dall’Italia.

L'affollatissimo, storico, comizio di Andrea Finocchiaro Aprile in Piazza Università a Catania del 14 maggio del 1944.

L’affollatissimo, storico, comizio di Andrea Finocchiaro Aprile in Piazza Università a Catania del 14 maggio del 1944.

 

Il 14 maggio del 1944, Andrea Finocchiaro Aprile venne a Catania; i suoi sostenitori lo portarono in trionfo e sulle spalle, dalla stazione ferroviaria fino a piazza Università, dove c’era un palco addobbato di fiori che disegnavano una gigantesca Trinacria davanti ad un pubblico che doveva superare le venti mila presenze. Il suo discorso venne pubblicato a cura del Comitato Messinese per L’indipendenza siciliana, dopo essere stenografato da Angelo Caola. Il comizio di Finocchiaro Aprile: “Nel prendere oggi la parola, in questa magnifica città che fu culla dei miei avi e alla quale è legato uno degli ineffabili episodi della vita di mio padre, quando il colera, nel 1887, sterninava le nobili popolazioni etnee, io sono preso da un senso di profonda commozione, commozione che deriva dall’affollarsi delle memorie nella mia mente, dalla responsabilità che assumo verso Catania, la quale occupa un posto così insigne nel passato e nel presente, dalla singolare vibrazione politica di questa cittadinanza, che impone sempre, specie nei momenti difficili come questi, saggezza di consiglio e ponderatezza di espressione”. In quell’intervento,

Andrea Finocchiaro Aprile

Andrea Finocchiaro Aprile

 

Andrea Finocchiaro Aprile, oltre a salutare il popolo catanese e a citare illustri personaggi storici catanesi, tratto’ argomenti importantissimi per quel periodo: “Nulla ci legava all’Italia; Italia e Sicilia erano sempre state estranee l’una all’altra… Noi abbiamo il fermo, irriducibile convincimento che l’indipendenza sia solo il mezzo per salvare la nostra Isola dal baratro in cui è stata cacciata dall’Italia e per questo alto e santo ideale noi continuiamo a combattere e siamo disposti a dare la nostra vita. Ciò non è agire contro la legge. È stupido non solo dirlo, ma anche pensarlo. Noi – io stesso, uomo di legge – fummo sempre rispettosi della legge e mai pensammo e penseremo di violarla. Sarebbero piuttosto Aldisio e i suoi turiferari che la violerebbero, se avessero la forza di colpirci col pretesto che la legge sia stata violata da noi… Ma la erezione della Sicilia a Stato sovrano e indipendente è il fatto preliminare imprescindibile. Questo Stato, a regime democratico repubblicano e a tendenza apertamente e largamente sociale avrà un suo particolare carattere di originalità. A Catania il campo è fertilissimo e potrà esserlo molto, ma molto di più, perché essa, per lo spirito laborioso della sua popolazione, per la sua tradizione mercantile, per la sua posizione topografica e geografica, è destinata ad essere uno dei più grandi centri industriali ed uno dei più grandi empori del Mediterraneo… ” Il resto del comizio alla prossima puntata.

Salvatore Aldisio

Salvatore Aldisio

 

DICIANNOVESIMA PUNTATA

 

Continuiamo con il discorso di Finocchiaro Aprile a Catania:”… La Sicilia, staccata dall’Italia, potrà vivere economicamente molto meglio di quel che non abbia vissuto unita con essa e potrà vivere meglio soprattutto perché l’Italia non potrà sfruttarla come sempre ha fatto e come si sta ricominciando a fare.

 

Andrea Finocchiaro Aprile leader del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile leader del MIS

 

Vi cito qualche esempio recentissimo. Si era faticosamente riusciti a creare un’organizzazione regionale dei monopoli e questa organizzazione dava un gettito di oltre 85 milioni di lire al mese; orbene, il ministro Jung, uno degli uomini più nefasti alla nostra Sicilia, ha mandato suoi funzionari nell’Isola perché, distrutto il carattere regionale dell’ Ente, tutto il reddito finanziario fosse trasferito in continente.

Il ministro Guido Jung

Il ministro Guido Jung

 

Si era pensato a creare in Sicilia un’industria per la fabbricazione dei fiammiferi, ma siccome questa avrebbe dato ombra agli stabilimenti del Nord, si è sillecitamente pensato a stroncarla. Si era deciso di costituire una compagnia siciliana di assicurazioni e tutto era già pronto: atto costitutivo, sottoscrizione dei soci, capitale, quando venne da Salerno l’ordine di sospendere ogni cosa, non essendovi ragione di danneggiare le compagnie di Venezia, Torino, Milano e via dicendo. In questo modo la Sicilia non potrà mai risorgere e continuerà ad essere succube di estranei interessi. E proprio da ciò che noi dobbiamo trarre l’impulso più gagliardo a farci banditori dell’idea dell’Indipendenza. È tempo che il popolo siciliano dica la sua parola in mezzo alla ridda di ambiziosi che caprioleggiano da mane a sera, che non rappresentano alcuno e che si dicono depositari di un’autorità a loro conferita e che di questo falsa autorità si servono soltanto a fini personali. Saranno è vero, soltanto elezioni amministrative e non politiche; ma saranno un indice della situazione generale dell’isola e saranno il primo esperimento di quel plebiscito con il quale il popolo affermera’ la sua volontà sull’avvenire della nostra terra”. Il 18 luglio del 1944, Andrea Finocchiaro Aprile espresse una ulteriore protesta contro lo Stato usurpatore italiano e la rivolse ai ministri degli affari esteri degli Stati Uniti d’America, d’Inghilterra, di Russia, di Jugoslavia, di Grecia e dei Paesi Bassi, al generale De Gaulle e al Cardinale Segretario di Stato di sua Santità: “L’eccezionale situazione nella quale il governo italiano ha posto la grande maggioranza del popolo siciliano, anelante alla propria libertà ed indipendenza, impone al Comitato nazionale del Movimento per l’indipendenza della Sicilia, di rivolgere un fervido appello a tutte le Cancellerie. Noi viviamo qui sotto il regime della più abominevole oppressione. Noi non solo ci vediamo negate tutte le libertà, ma siamo esposti a violenze di ogni genere. Mentre la libertà di stampa è stata concessa a tutti i partiti, anche a quelli che hanno poche decine di iscritti, è negato a noi di pubblicare anche un solo giornale, nonostante che il Movimento indipendentista abbracci centinaia di migliaia di aderenti. Così noi siamo oggetto di tutte le critiche e di tutte le contumelie da parte di una masnada di approfittatori della politica, senza poter neppure rispondere. Come a noi e a noi soltanto, è vietato di pubblicare anche il più piccolo ed insignificante manifesto perché tutte le tipografie sono quotidianamente perquisite dalla polizia, la quale non consente che nulla stampino che sia stato ordinato da noi…. Come se ciò non bastasse, le nostre persone sono sottoposte ai più vili attentati. A Regalbuto, dove ci eravamo recati in pochi, con intenzioni del tutto pacifiche, per spiegare le ragioni che militano a favore dell’indipendenza, noi fummo aggrediti da una banda di comunisti e monarchici, fra i quali vi erano anche ufficiali della divisione “Sabauda”, tutti armati di fucili matriagliatori o rivoltelle o di bombe a mano, e fu un miracolo se non avvenne un eccidio. La banda era stata organizzata dal prefetto di Enna, un certo Bruno…”. Il resto, alla prossima puntata.

Il Comune di Regalbuto, in provincia di Enna, con sullo sfondo l'Etna. A Regalbuto, Finocchiaro Aprile, subì un'attentato.

Il Comune di Regalbuto, in provincia di Enna, con sullo sfondo l’Etna. A Regalbuto, Finocchiaro Aprile, subì un’attentato.

 

VENTESIMA PUNTATA

 

Riprendiamo con la lettera di protesta di Finocchiaro Aprile: “… La banda era stata organizzata dal Prefetto di Enna, un certo Bruno. Ora le autorità governative non solo non deplorarono il contegno di costui e degli altri manigoldi, ma espressero la loro implicita approvazione dell’aggressione. Il governo italiano ha avuto la tracotanza di chiedere agli alleati l’autorizzazione di procedere all’arresto, al giudizio ed alla conseguente condanna del presidente del nostro Comitato Nazionale, di null’altro reo che di amare ardentemente la nostra patria siciliana e di volerla svincolare dall’oppressione, dalla servitù e dallo sfruttamento in cui è stata tenuta per circa un secolo dall’Italia. Aggiungiamo che le nostre città sono come in stato d’assesdio… E si tenga presente che il governo italiano sta svuotando la sicilia di ogni cosa, quasi a punirla del suo atteggiamento ostle. Carri ferroviari, autobus, automibili, turbine elettriche, impianti industriali, materiali e merci di ogni genere, ci vengono tolti per essere portati in continente, rendendo impossibile la nostra vita… Il Comitato Del MIS conferma il proprio indifettibile proposito di continuare la sua lotta per il distacco delle due Nazioni…”. Il 18 marzo del 19 45, sulla prima di” “Domenica”, settimanale di politica, letteratura e arte di Roma, venne pubblicata un’intervista, dal titolo “Il Separatismo si difende, a cura di Igor Man, noto giornalista di frontiera, concessa da Finocchiaro Aprile. In quell’intervista, il leader del MIS ebbe a dire:” Per la Sicilia mi farei persino scannare”. Ma alla fine, alla domanda, se la mafia fosse vicina al Mis, rispose che non andava scambiata con la delinquenza, la mafia andava rispettata come elemento di ordine e di pace sociale.

Andrea Finocchiaro Aprile, leader del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile, leader del MIS

 

Una risposta finale del genere, data oggi, sarebbe del tutto ingiustificabile e significherebbe collusione, apologia di reato, appoggio esterno ad associazione mafiosa e chissà quanti altri capi d’accusa. In quegli anni, specie nei periodi di vuoto e di abbandono da parte delle Istituzioni, non avere la mafia contro, diventava una necessità. Finocchiaro Aprile era un gentiluomo e sappiamo già che odiava la violenza; aveva capito persino che la lotta all’indipendentismo doveva passare anche per la strada del coinvolgimento dei comunisti siciliani, visto che Stalin si opponeva al disegno degli inglesi di separare l’isola dall’Italia, per interessi strategici. Nella prossima puntata affronteremo la lotta all’indipendentismo di Alcide De Gasperi.

Il giornalista siciliano, Igor Man, che intervisto' Andrea Finocchiaro Aprile.

Il giornalista siciliano, Igor Man, che intervisto’ Andrea Finocchiaro Aprile.

 

VENTUNESIMA PUNTATA

 

Andrea Finocchiaro Aprile capo del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile capo del MIS

 

Il 24 maggio del 1944, i carabinieri di Messina trasmisero al Governo italiano, con sede allora a Salerno, il seguente messaggio: Il 12 corrente in Messina, elementi separatisti hanno messo in circolazione il manifesto di cui si unisce copia di contenuto satirico, intitolato “Volantini per l’indipendenza” – decalogo per il perfetto unitario. “SONO UNITARIO – perché la Sicilia è stata per l’Italia una ricca colonia e perché, come tale, tutto deve dare e nulla dev’esserle concesso. Questo “Onore”, che l’isola mia ha goduto per oltre 16 lustri, ardentemente desidero che le sia concesso in perpetuo. SONO UNITARIO – anche a cagione dell’irrefrenabile “amore” che per noi miserabili, sudici, hanno professato e professano i grandi fratelli nordici. Questi, infatti, con commovente premura e delicatezza, hanno ogn’ora carezzato il nostro orecchio chiamandoci coloniali, marocchini, mafiosi, briganti, incivili, barbari, ignoranti, bastardi, ecc., epiteti troppo… lusinghieri perché vi si possa rinunziare senza sentirci terribilmente straziato il cuore. SONO UNITARIO – per tutto il bene che l’Italia mia adorata mi ha prodigato durante il suo delizioso dominio e per le decine e decine di migliaia di morti, feriti, mutilati e dispersi che la Sicilia ha avuto nelle varie guerre, risoltesi poi sempre a beneficio dei “cari fratelli” di lassù. SONO UNITARIO – per i miliardi di lire di tasse, dal contribuente siciliano con … frenetica gioia versati all’erario italiano, dietro formale impegno del patrio governo che non si sarebbe mai permesso di restituirceli sotto forma di opere pubbliche, ospedali ecc., il che ci avrebbe profondamente umiliati e offesi. SONO UNITARIO – perché l’Italia mi ha sempre “maternamente” impedito di commettere cattive azioni, quali, ad esempio, quella di sviluppare industrie in Sicilia per migliorare il mio tenore di vita e quello dei miei figli. Delitto che mi sono ben guardato dal commettere anche perché non mi sarebbe stato certo perdonato. SONO UNITARIO – perché le modeste industrie che ero riuscito a creare di nascosto (oh! Come ne sono pentito!) furono coscientemente perseguitate e soppresse con mezzi più o meno legali dall’italiana benevolenza. SONO UNITARIO – perché l’oro di una forte organizzazione bancaria europea (Banco di Sicilia), oro che involontariamente aveva avuto il torto di accumulare con il Sud ore e con il sacrificio di tutta la mia vita e di quella delle generazioni che mi precedettero, mi venne graziosamente sottratto dai miei sempre più cari fratelli settentrionali, i quali però, “onestamente” tutto restituirono, tutto sotto forma di carta e col disprezzo degli ingrati. Bisogna essere proprio insensibili, per non sentirsi salire lacrime di riconoscenza per la “magnanimità” con cui fummo alleggeriti dello incomodo aureo peso! SONO UNITARIO – perché l’amministrazione delle ferrovie, piuttosto che buttarli via, invia a noi vagoni vecchi, malandati e fuori uso e noi in cambio ci lasciamo asportare gran parte dei nostri prodotti. Il seguito del manifesto satirico, alla prossima puntata.

 

Il vessillo del MIS di Messina

Il vessillo del MIS di Messina

 

VENTIDUESIMA PUNTATA

 

Continuiamo con la seconda parte del manifesto satirico: SONO UNITARIO – perché amo la tirannia, il caos, lo sfacelo, benefici di cui non avrei potuto godere se l’Italia non ci avesse regalato il suo fascismo e con esso la guerra, con le conseguenze della più completa e perfetta rovina materiale e morale che la Penisola abbia visto da che Iddio la creò. SONO UNITARIO – per tutte queste e altrettante ragioni; inoltre perché sono un figlio spurio; perché rinnego e disprezzo la mia Isola meravigliosa, la cui civiltà rifulse prima quella di Roma, perché infinite sofferenze e strazi sono per me motivo di grande conforto e di sadica crudeltà, tanto che faccio voti onde siffatti patimenti siano goduti, con moltiplicata intensità, dai miei figli e dalle generazioni che verranno.

 

Andrea Finocchiaro Aprile capo del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile capo del MIS

 

SICILIANI DI TUTTE LE CATEGORIE DI TUTTI I COLORI POLITICI non prestate dunque orecchio ai separatisti, delinquenti e folli. Essi non sanno quello che dicono; essi vorrebbero delittuosamente strapparvi a quest’era di ignavia e di voluttuosi dolori cui l’isola nostra felicemente soggiace. Gridate con me “abbasso l’indipendenza della Sicilia e viva l’unità d’Italia, la sola che può garantirci sempre miseria, sfruttamento e nuove immense sublimi sciagure!”.

Il comandante generale dei carabinieri Taddeo Orlando

Il comandante generale dei carabinieri Taddeo Orlando

 

Il 31 agosto del 1944, Taddeo Orlando, comandante generale dei carabinieri, ordinò di stroncare, senza alcuna esitazione, qualsiasi protesta popolare. Anche Salvatore Aldisio, che era stato nominato il 30 luglio di quell’anno, Alto Commissario per la Sicilia, assecondo’ in pieno gli ordini di De Gasperi, dando inizio a una specifica azione militare contro il MIS.

Alcide De Gasperi

Alcide De Gasperi

 

Il capo del MIS si era reso conto delle minacce del governo italiano e preparò un memoriale da inviare alle delegazioni dei Paesi partecipanti alla conferenza di San Francisco. Usa, GB, URSS e Cina, con il preciso scopo di salvaguardare l’indipendenza siciliana. Il ministro degli Esteri, Alcide De Gasperi informo’ il presidente del Consiglio Bonomi, del documento inviato alla conferenza di San Francisco e fu lo spunto perché il CLN regionale votasse un odg che invitava il governo italiano e l’alto Commissario a stroncare in maniera urgente e definitiva il movimento separatista. La Sicilia, anche a livello internazionale, faceva gola a tutti, specie per la sua posizione nell’area mediterranea. Considerato anche che il governo sovietico si era opposto a qualsiasi forma di protettorato angloamericano nell’isola, gli USA minacciarono De Gasperi, dichiarando che non avrebbero fornito alcuno aiuto economico all’Italia, se non fosse stato portato avanti un disegno politico in grado di ostacolare qualsiasi crescita del partito comunista italiano, legato alla Russia sovietica, consentendo anche l’annessione della Sicilia.

Salvatore Aldisio Alto Commissario in Sicilia

Salvatore Aldisio Alto Commissario in Sicilia

 

Uno speciale dal titolo “Gli Italiani debbono conoscere la verità sul separatismo siciliano, venne pubblicato sul settimanale ” DOMENICA ” del 20 aprile del 1945. Ma di questo ne parleremo nella prossima puntata.

Il presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi

Il presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi

 

VENTITREIESIMA PUNTATA

Il 20 aprile del 1945, sul settimanale “Domenica”, viene pubblicato uno speciale dal titolo “Gli italiani debbono conoscere la verità sul Separatismo siciliano”. L’articolo metteva in risalto una infinita serie di torti effettuati dai governi centrali a partire dal 1896 per la Tunisia, che ha visto sacrificare gli interessi di un’emigrazione esclusivamente siciliana, per poi raccontare tutto quello che aveva messo in atto Finocchiaro Aprile, in quel periodo. Gli attacchi furono sferrati, a partire da Pietro Nenni che definì l’indipendentismo: movimento vandeano, antiunitario, sostenuto dalle vecchie forze fasciste.

Lo speciale : "Gli italiani debbono conoscere la verità sul Separatismo siciliano".

Lo speciale : “Gli italiani debbono conoscere la verità sul Separatismo siciliano”.

 

Andrea Finocchiaro Aprile capo del MIS

Andrea Finocchiaro Aprile capo del MIS

A favore del leader del MIS, giunse una nota dal settimanale “Democrazia Internazionale” , stampato a Roma; l’autore di tale articolo ha inteso dare voce alla volontà dei siciliani, aprendo scenari futuri ai progetti di Finocchiaro Aprile e dava indicazioni sulla via da far percorrere al MIS. Dalle analisi delle dichiarazioni del massimo rappresentante separatista, emersero due possibilità: la prima era quella di inserire l’isola in un contesto di Stati, o regioni autonome, che facessero parte di una federazione di Paesi Europei, la seconda era quella più riduttiva e cioè farla diventare la quarantanovesima Stella americana, riducendola a suddita del nuovo impero USA. Nel MIS, intanto, spiccavano nomi di grido come l’avvocato Di Martino, capo delegazione di Catania del MIS, focoso e intransigente sostenitore del Separatismo. Federico Raffaele Di Martino nacque a Modica il 30 marzo del 1866, perseguitato dalla dittatura fascista, per la sua fede nel socialismo, fu condannato al confino dal tribunale speciale e si rifugio’ in Francia per unirsi alla componente socialista per poi tornare, dopo lo Sbarco alleato in Sicilia; da brillante penalista, rimase famosa la sua memoria difensiva nei confronti di Finocchiaro Aprile, Antonio Varvaro e Francesco Restuccia a seguito del loro arresto, il 16 ottobre del 45.

L'onorevole Pietro Nenni

L’onorevole Pietro Nenni

 

Salvatore Aldisio Alto Commissario in Sicilia

Salvatore Aldisio Alto Commissario in Sicilia

 

Il 21 aprile, in seguito alle minacce di Tito che aveva avanzato il diritto di annettere alla Jugoslavia, la città di Trieste, a Palermo, si svolse un corteo di unitari. Al grido di viva Trieste, i manifestanti, in via Ruggero Settimo, presero a sassate le bandiere siciliane, esposte dinnanzi alla sede del MIS. Polizia e carabinieri salirono nella sede dei separatisti, mettendo a soqquadro gli uffici e su ordine di Aldisio, venne diramato l’ordine di chiusura di tutte le sedi separatiste. Antonio Canepa, viste le restrizioni che stava subendo il MIS, pensò di accelerare le fasi di arruolamento dei giovani siciliani nell’Evis. Ma di questo ne parleremo nella prossima puntata.