RECENSIONE “LE ALI DEL VENTO” (VERTIGO 2012 ROMA)

Copertina del libro

Copertina del libro

“Il lettore sente rinascere e crescere dentro di sé echi e memorie…”

 A cura di Rosario Musmeci

Aprire un libro, sfogliarlo, è sempre un’avventura, un avviarsi per sentieri inesplorati. Raccogliere il dono che l’Autore fa di sé, se non è uno stanco compilatore di pagine. Ecco questo libro di Lorenzo Marotta, arida modo pumice expolitus, per rifarci a Catullo (“appena uscito dalle mani del legatore, ancor fresco d’inchiostro”, diremmo noi). Del suo scritto mi appassiono e cerco di scavare alla scoperta dei suoi “perché”, di valori e significati. Mi è avvenuto di dire altre volte che questo è il bello, per la pagina scritta: non si può rimanere inerti, se è “vera”, e il lettore sente rinascere e crescere dentro di sé echi e memorie. Ciascuno di noi crede di comprendere un messaggio, lo adatta a sé, lo rivive…

Ecco. Abbiamo la Storia e le storie. La Storia si scrive nei libri. Quella grande, dico, quella paludata. Poi, dentro, c’è il “come si vive”, che è una cosa ben diversa. E queste sono le storie.

Le storie si aprono alle vicende degli uomini semplici. Qui, Laura e Antonio. Dico semplici, per opporli alla paludata e patinata vicenda a tutti nota, della Storia ch’è nei libri e nelle enciclopedie. Di loro non parla la storia ufficiale, ma loro ci sono, contribuiscono a che ci sia. Vivono di ricchezze personali irripetibili (il loro amore) e del mondo che li circonda, che spesso non comprende ed equivoca. Non mi dite: “ma questo vale per un libro di memorie, non per una storia di fantasia”; io non credo alla storia di pura fantasia e alla non-esistenza dei personaggi di questo libro. Sotto altro nome, con caratteristiche fisiche diverse magari, ci sono stati, e forse ci sono ancora: Antonio e Laura e gli altri sono, dantescamente,  persone “dello schermo”. Sono legati all’esperienza di Lorenzo Marotta, che li ri-crea e li fa rivivere. Magari con un briciolo di nostalgia.

Il Prof. Lorenzo Marotta

Il Prof. Lorenzo Marotta

C’è la Storia, quella del Sessantotto e poi quella degli anni di piombo, quella dell’errore immenso di chi “capiva” ma si limitava a parlare di “compagni che sbagliano”. Laura e Antonio (e la loro storia d’amore) ci sono dentro, certo. Antonio scrive articoli, commenta. Tiene testa a chi, per aver letto dieci pagine di Marcuse e il “libretto rosso”, ha scoperto la ricetta per trasformare e guarire il mondo. E’ proprio così importante per Antonio leggere le opere del “Grande Timoniere”? I suoi studenti lo credono e gliene fanno dono. Marotta non ci dice se Antonio ha letto i volumi editi dall’ambasciata cinese o se ne ha fatto uso, che so, quale supporto ad un tavolino zoppicante. Ma Antonio è stato un professore “vero”, ha assolto con dignità e coscienza ai suoi compiti.

Un posto a sé, in queste parentesi narrative dedicate alla docenza (con i loro fuochi e le loro miserie) merita la riscoperta del dialogo: il Sessantotto sarebbe stato diverso se ci fosse stato senso dell’autorità (che non deriva da uno scranno) e meno autoritarismo. Da meditare alcune considerazioni sul modo di “essere e fare” scuola, che sono preziose e derivano dalla lunga esperienza dell’Autore: tutto è andato perdendosi con la scomparsa del coinvolgimento emotivo, “l’attenzione a impegnare, prima ancora che la mente, l’anima degli allievi, toccando le corde del loro cuore, suscitando la loro fantasia, la loro creatività, facendo sentire la stima e la considerazione che i docenti devono avere per le loro esigenze interiori”.

Un amore è l’assunto del romanzo; ma tanti sono volti dell’amore che risaltano nelle pagine del libro. La narrazione di Marotta non è monocorde.  L’amore è malattia e traviamento per Marco e Silvana, placido fluire in Ivo e Francesca, dono e disperazione in Giuseppe (la giovane moglie senza nome minata da un tumore senza speranza), possesso e abbandono nelle famiglie della tradizione (Lorenzo e Chiara; Vincenzo e Concetta), violenza subita da Paul e capacità di risorgere in Luisa, tenero incantamento in Luigi e Maria, fiorire di sentimenti nuovi in Chiara, dono e rassegnazione in Andrea..

Il protagonista ha conosciuto l’aspetto brutale del rapporto (la donna-lupa di una calda estate, corpo senz’anima); ne è stato ferito. A sua volta, nella ricerca di qualcosa di diverso o di una via d’uscita per il proprio smarrimento, ha usato di chi s’era abbandonato a lui e l’ha tradito.

Accanto, quella forma speciale d’amore che si chiama amicizia: nel romanzo ha soprattutto il volto di Luigi, sempre acccanto ad Antonio, protagonista del suo “risveglio”. E c’è il gruppo dei vecchi compagni di scuola.

Poi si apre un orizzonte nuovo. Nasce la storia, la storia d’amore.

Tutto appare narrato in punta di penna, quietamente. “Nunc album caput et veneres tepuere sub annis”: farà piacere a Lorenzo Marotta questa citazione di Nemesiano. Dal momento del “dopo” molte cose si decantano e si vedono meglio; rimane intenso solo quello che era vero e imperituro. L’accidia di Antonio attende che le “cose” si decantino dentro di lui, poi i fogli germoglieranno di parole. “Laura non c’è” cantava un menestrello dei nostri giorni; il dramma di giorni, di settimane e di mesi che s’intreccia con i cedimenti connessi alla repentina scomparsa del padre. Ma Laura ormai c’è, presenza viva, agitatrice di sogni, foriera del desiderio di proseguire il cammino. Carta e penna, si può narrare, uscito fuor dal pelago alla riva.

Com’è bella la descrizione del fiorire dell’amore. Un raggio di sole che illumina a vita e  che subito  sembra svanire e di quel raggio di sole resta il ricordo.  Ricordo dolce-amaro, come l’amore, nell’intuizione di Saffo meravigliosa:  Ἔροςδηὖτέμ’ ὀλυσιμέληςδόνει, / γλυκύπικρονἀμάχανονὄρπετον ,Eros che scioglie le membra mi scuote nuovamente: dolceamara invincibile belva; e nel nome della fiera c’è l’étimo dell’insinuarsi strisciando inavvertito fino al possesso pieno della preda..  Rimane almeno il ricordo e nessuno può cancellarlo. Neppure l’abisso dello spazio, o del tempo. Fino al momento in cui i giochi si riaprono.

Del primo incontro tra due anime che si ritrovano tanto si potrebbe scrivere.. ma per me con mano maestra Marotta racchiude tutto in una battuta di Laura, “mi fai morire”; c’è la descrizione del primo incontro d’amore, la fusione e il fuoco dei corpi; ma tutto è compendiato in questa prima battuta, l’approccio, il cuore che manca, i sensi che si enervano e si abbandonano; l’abbandono viene dopo, ma è tutto in questa prima battuta. E’ facile ricordare Saffo?  L’ode detta “della gelosia” e che è invece “della passione”.

Le persone si muovono nella loro realtà. Non si tratta di scenari di maniera.. C’è Aidone, che si distende sui colli a maniera d’aquila: non solo quinta di teatro, ma palpitante realtà che si apre a tutto un modo di tradizioni, rapporti, preclusioni.. trasgressioni. Quel mondo Marotta accarezza con attenzione di chi va “alla ricerca del tempo perduto” e sempre amato. Nelle tradizioni popolari, nelle attività dei campi e degli artigiani, nelle feste solenni. Anche negli aspetti più duri da accettare, come avviene per la nube di sospetti che avvolge Luigi e Maria e li costringe, adolescenti,  ad un matrimonio riparatore.

C’è Venezia. Accarezzata con le parole, descritta nei particolati minuti, nello scivolare per ponti e calli e campielli, negli improvvisi squarci di luce, nello splendore delle sue ricchezze d’arte. Marotta ha vissuto a lungo a Venezia. Il vagabondare di Antonio è il suo, sono i suoi occhi a rileggere quel mondo incantato, a volte segnato nei minimi particolari (i ventuno tondi della sala della Libreria..). Immagini accarezzate, cesellate con cura nella descrizione. Ma non è la “visione” della terra di Sicilia: lì è appoggiarsi alla madre, qui la scoperta di un’amante da possedere.

Anche altri luoghi non sono semplice scenario: Harvard, le terre del Veneto, Pantelleria. Mi sembra di scorgere come  una “partecipazione” dei luoghi alla vicenda, che sembra richiamare la natura partecipe dei sensi dell’uomo  propria del Romanticismo.

Una storia narrata, scrivevo, in punta di penna, con piena padronanza della lingua e delle sue sfumature (affiora il professore!) senza pedanteria. Una lettura che si accoglie naturalmente mentre le vicende si snodano e ti trascinano. E poi, “valori etici, civili e culturali si intrecciano in un’unica tensione umana ed esistenziale, con uno sguardo critico alle contraddizioni della Sicilia, ma anche di fiducia e di speranza per la sua rinascita”. Lo leggiamo nella nota di copertina, lo condividiamo; più vivacemente, nelle postille amare tratte dal libro famoso di Tomasi di Lampedusa. La narrazione si apre a volte ad orizzonti sempre più alti, dove Antonio sembra avvertire che le semplici descrizioni e le parole di tutti i giorni non bastano. Allora la sintesi dei sentimenti è espressa nei versi di Prévert, Raboni, Neruda.. fino alla desolata attenzione al frammento di Quasimodo Ognuno sta solo sul cuor della terra / Trafitto da un raggio di sole / Ed è subito sera. Il sentirsi tragicamente solo nel mondo e il raggio di sole, gioioso come la vita ma anche amaro per la sua precarietà, presto scompare. Altri riferimenti troviamo, bellissimi: in questo intreccio tra vita e letteratura non è solo accademia il gioco dei richiami..; ecco, ancora qualche esempio:  Gilbran, Munch e la genesi dell’urlo, Cardarelli e i suoi gabbiani in perpetuo volo.. Senza trascurare l’ampia messe di citazioni in cenni letterari, storici, filosofici, che Marotta lascia cadere con nonchalance nel volgersi del racconto.

Quando apro per la prima volta un libro ho subito pronto un perché: il titolo. Perché “le ali del vento”? Fossi di facile contentatura  troverei la risposta nelle ultime pagine: lì si trova la formula. E’ il seme che germoglia, colui che verrà dono d’amore, nei versi di Antonio/Lorenzo (?) – questa volta suoi, non riecheggiare di altre voci universali – “Ora corre sulle ali del vento / portando con sé / il profumo di un amore vero”. Abbiamo trovato la formula, non il suo perché. Mi perdoni l’Autore. Forse è “il vento nelle ali”, che proietta i personaggi in un gioco non voluto e casuale e spinge il destino dei protagonisti; una via quasi mai diritta, soggetta alla bizzarria dei refoli di vento; quel che i Greci chamavano Anànghe e si palesava come Tyche (Fortuna) e che era il meccanismo cui lo stesso Zeus doveva sottostare: la bilancia del fato volge in basso e l’amato Ettore cade sotto i colpi di Achille. Sono insoddisfatto, mi occorre un’altra chiave. Ecco: tutto il racconto, abbiamo visto, è un canto d’amore. Alla gran cultura di Marotta occorre fare richiamo. Leggo “Solon”, di Pascoli: Nei lontani monti color di cielo / sibila il vento. /Mugghia il vento, strepita tra le forre, / su le quercie gettasi… Il mio non sembra / che un tremore, ma è l’amore, e corre, / spossa le membra! Eccolo, il vento che ogni cosa travolge e trascina. Non è certo la bufera infernal che mai non resta di Dante. Le sue ali conducono ad un approdo. E’ Laura il porto sicuro.

Gilbert Cesbron, che ebbe la sua fama a metà Novecento (Cani perduti senza collare, La nostra prigione è un regno), si congedava da ogni suo libro con poche semplici parole “Ed ora addio, ragazzi del mio cuore”, a significare che i personaggi erano un po’ divenuti suoi figli e parte di sé. Io penso che ai suoi personaggi Marotta non avrà da dire addio, perché non sono divenuti parte di lui, lo sono sempre stati: come il mondo di Aidone che accarezza e vagheggia immobile nel ricordo. Ma un altro pensiero mi viene in mente. E mi riporta un epigramma di Giuseppe Giusti, caustico spirito dell’Ottocento: il fare un libro è meno che niente / se il libro fatto non rifà la gente. Ecco, io non so se il libro di Marotta trasformerà il suo lettore; ma il lettore, senz’altro, si soffermerà, chioserà a margine, condividerà, si irriterà.. Penserà, insomma. Cioè non avrà avuto un semplice divertissement, quello che si aspetta chi compra un libro da leggere per ammazzare il tempo. Oh, Pascal: gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno risolto, per viver felici, di non pensarci. Invece Marotta costringe a pensare, ripeto.

E quanto di più o meglio può aspettarsi un Autore?