RIFLETTENDO SU “LA VITE E IL TRALCIO”, IL ROMANZO DI M. CRISTINA TORRISI

“Siamo chiamati, come figli di Dio, a fare della nostra morte il più grande dono. La vita è una preparazione alla morte, che è l’atto conclusivo del dare.”

Il nostro tempo è, in un certo senso, propizio per avvicinarsi alle letture di taglio spirituale.

E’ stata definita illuminata, ma cominciamo a scoprire che è proprio ad essa che manca il lume divino che illumina tutto il mondo.

Anche assieme a questa bella lettura, cerchiamo quindi questa luce nel Maestro Gesù e nel Suo Spirito.

Romanzo di Maria Cristina Torrisi

Romanzo di Maria Cristina Torrisi

Siamo oggi ancora capaci di comprendere il Suo insegnamento? Siamo capaci di trarre luce dalle Sue parole?

Per comprendere la musica, dice San Basilio, bisogna essere musicisti e per comprendere gli insegnamenti dello Spirito bisogna essere spirituali, cioè persone che conoscono la vera preghiera.

Questa osservazione non deve assolutamente scoraggiarci. La nota essenziale dello Spirito è la carità. Allora ogni uomo che ama Dio e che cerca di capire la realtà per mezzo di questo amore, può considerarsi spirituale.

 Il modo in cui Maria Cristina ci presenta il suo Maestro è spontaneo e attuale. Traspare tutta la freschezza di una vera ricerca interiore, attraverso la quale Gesù non è più un meraviglioso sconosciuto, ma entra a far parte, con familiarità, della nostra vita quotidiana.

Entra con gioia, certo, ma anche attraverso la sofferenza, davanti alla quale non possiamo chiudere gli occhi, neanche quando non ci riguarda direttamente.

Di fronte a quattro ragazzi palestinesi, crudelmente e ingiustamente uccisi dal delirio di una guerra senza fine, che da soli si fanno simbolo di tutto il male e dell’apparente non senso della nostra esistenza, possiamo far finta di non vedere, andare avanti come se tutto ciò non esistesse.

Al contrario, però, possiamo anche, con coraggio, tenere gli occhi aperti; accettare la realtà e lasciare comparire davanti a noi il Suo volto, i Suoi occhi misericordiosi che attraverso una pace infinita tutto comprendono, tutto perdonano, tutto permeano di un tono di amore intenso.

Più guadiamo nella profondità del nostro cuore, sembra dirci Maria Cristina tra le righe del suo romanzo, più ci sentiamo vicini a Lui e uniti a tutti gli altri esseri umani, che diventano davvero fratelli, perché veramente parte di un unico corpo.

Quando una parte di questo nostro corpo soffre, beh, allora è tutto il corpo a soffrire.

E’ quindi un’illusione, un tirarsi fuori dalla realtà, quel provare a dimenticare il nostro fratello che ha bisogno, come se la cosa non ci riguardasse.

Ci riguarda per essenza.

Siamo fatti per gli altri. La nostra realizzazione sta nel dare noi stessi agli altri.

Il seno materno offerto al neonato può essere simbolo della bellezza di essere mangiati.

Il nostro vero dono non è tanto quello che possiamo fare per gli altri, ma quando siamo disposti a donare di noi stessi, di quello che siamo.

Chi mi può veramente aiutare è colui che è disposto a condividere con me la sua vita. Il dono di noi è più importante dei nostri talenti. Per accogliere una persona non è necessario avere molta cultura, ma avere un cuore, essere disponibili.

Può capitare di trovare dei sapienti, di sentirci onorati per aver conosciuto persone importanti…sarebbe meglio trovare dei santi.

Per crescere nella capacità di amare, nella volontà di farmi dono, dovrei desiderare di diventare un partner, un amico, sempre più perfetto, abbellito ogni giorno, educato al rapporto con qualunque persona, guidando la fantasia al positivo e all’ideale. Reagire con forza contro tutti i tentativi di svilire l’ideale veramente cristiano. Non accettare compromessi.

Il giusto rapporto con l’altra persona lo troviamo se ci decidiamo ad amarla sul serio, superando tutti i nostri egoismi e pretese. Anche nella morte.

Siamo chiamati, come figli di Dio, a fare della nostra morte il più grande dono. La vita è una preparazione alla morte, che è l’atto conclusivo del dare. Se l’amore è veramente più forte della morte, allora la morte ha la capacità di approfondire e stringere i legami d’amore. Solo dopo la nostra morte potremo svelare se abbiamo sempre fatto dono della nostra vita.

Al contrario, se crediamo che la morte sia la sconfitta finale, la vita diventa una lotta senza speranza, un viaggio nella disperazione.

Nabeel Hassan, protagonista del romanzo di Maria Cristina Torrisi, ci ricorda con semplicità e coraggio che, nella nostra fede, i pochi anni su questa terra sono parte di un più grande evento, che si estende molto al di là dei confini della nostra vita.

Possiamo stringere patti d’amore che vadano a raggiungerci nell’ Infinito.

La comunione, l’incontro con il Maestro, non deve essere senza conseguenze.

 

Padre Simone Sacchier

dei Ricostruttori nella preghiera