PILLOLE: L’ARCANA FORZA DELLA LETTURA

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Attualit
L’ARCANA FORZA DELLA LETTURA
A cura di NINO LEOTTA

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La signorina Burrittazza (Grassi-Bertazzi) era una maestra avanti negli anni che insegnava alle alunne delle elementari statali di San Giovanni Nepomuceno. Abitava da sola al secondo piano di un piccolo edificio in Via Romeo. Al primo piano vi alloggiava una mia zia sposata, sorella di mia madre. Le nostre abitazioni erano così vicine che i balconi del lato-cucina, che davano su un vicolo, si distanziavano di pochi centimetri e mi consentivano di spostarmi con facilità da un appartamento all’altro. Avevo modo, così, di seguire anche alcuni movimenti della maestra Burrittazza.
La scaletta di marmo bianco che portava al piano della sua abitazione era stretta e alquanto ripida. Lei saliva un paio di gradini mantenendo sempre una vistosa borsa per il manico, poi, rigirandosi, apriva un lungo discorso su un argomento del giorno. Tanti gradini e tante eloquenti pause. La sua voce martellante, liberava come un fiume in piena i suoi giudizi decisi e convinti. Ad ascoltarla eravamo io ancora bambino e mia zia. Ma lei declamava come se si trovasse dinanzi a una piazza piena di gente. Come se fosse al cospetto di un popolo bisognoso di essere guidato a leggere fatti, comportamenti e problemi. Parlava del re e della repubblica, di Mussolini, di Hitler, dell’America, dell’Inghilterra, della Francia e del governo italiano. Parlava di scuola e di lavoro, delle Istituzioni e del pubblico impiego, dei soldati, delle famiglie e della Chiesa.
Oggi la definirei un’antesignana di un dignitoso femminismo. E presumo che inculcasse alle sue alunne (allora le classi separavano i generi) la necessità e il valore di una forte personalità femminile. Lo deduco dal fatto che provasse ad unire all’educazione all’apprendimento, l’esercizio della capacità di esprimere dei giudizi critici. In quel periodo la punta più alta della partecipazione femminile alla cosa pubblica si fermava all’insegnamento nelle scuole.
Frequentava raramente due sue sorelle che coabitavano a una cinquantina di metri di distanza da lei e passava interi pomeriggi e tutte le domeniche e feste chiusa in casa. Le capitò di avere un po’ di febbre e, sporgendo da una punta di balcone il capo coperto da una cuffietta con gli occhialini sempre sul naso, mi chiamò perché le andassi a comprare qualcosa da mangiare dalla signora Minnazzi in Via Vastea. Salii per la prima volta quelle ripide scale e capii in un sol colpo d’occhio la sorgente della sua abbondante e veemente oratoria. Rimasi come stordito: in ottanta metri quadri di casa c’era una stanza colma di libri, tanti altri libri sparsi ovunque e montagne di giornali accatastati in ogni dove. Provai appena a puntare lo sguardo sulla copertina colorata di una copia de “La domenica del corriere” che soleva riprodurre una scena di un avvenimento. La maestra mi disse che quei signori che scrivevano non pensavano a scrivere per i bambini. Ma aggiunse: “voi bambini potete capire tutto. Ma devi studiare e leggere tanto per rispondere a quelli che scrivono”.
La signorina Burrittaza, maestra al San Giovanni Nepomuceno, voleva trasmettere a me come alle sue alunne il segreto di una costruttiva dialettica. E la saggezza e l’astuzia di portare su un adeguato livello critico tutto ciò che si legge.