“L’altra faccia” di Domenico Tempio: il poema postumo La Caristia

Domenico Tempio La Carestia

Memorie di un personaggio
A cura di Giovanni Vecchio

“L’altra faccia” di Domenico Tempio: il poema postumo La Caristia

172 anni fa veniva pubblicato postumo, a cura di Vincenzo Percolla, il poema in lingua siciliana (nella sua parlata catanese) La Caristia di Domenico Tempio (nato a Catania il 22 agosto 1750 ed ivi morto il 4 febbraio 1821), più noto per le sue poesie erotiche, che gli procurarono un lungo ostracismo degli “addetti ai lavori”, nonostante il successo popolare.Una prima copia delle poesie di Domenico Tempio si trova presso la Biblioteca dell’Università di Ginevra, dove probabilmente qualche illuminato dell’epoca la portò per sottrarla all’Indice ed evitare la persecuzione dell’autore. Invece, La Caristia (in venti canti e in quartine di settenari) composto in un lungo arco di tempo, trae spunto dalla carestia che storicamente visse Catania nel 1797/98.

Domenico Tempio La Carestia

Domenico Tempio La Carestia

Precisiamo subito che il motivo conduttore presente nelle varie opere del Tempio è l’osservazione della realtà, l’indignazione per gli sprechi dei ricchi e l’umana partecipazione per l’inaudita miseria dei poveri.
La Carestia rappresenta la summa delle posizioni ideologiche e politiche dell’autore. In breve la storia è questa. A causa della siccità l’annata aveva provocato scarsezza di raccolto e il Senato catanese dovette importare a caro prezzo i cereali e il frumento da varie parti del Regno. Il prezzo del pane aumentò e fu diminuito il suo peso di più della metà. I cereali, la farina, il pane erano alla base dell’alimentazione, specialmente delle classi povere. Anche se l’annata successiva portò un buon raccolto, bisognava smaltire il grano accumulato nell’annata scarsa e il peso del pane rimase meno della metà. Il popolo tumultuò al grido di pani ranni, pani ranni e si abbandonò ad ogni genere di violenza. Furono svaligiati e bruciati i forni. Fu messo a sacco il Palazzo Municipale e si diede la caccia ai ricettatori. La sera delle violenze il principe di Biscari fece sapere che avrebbe fatto aumentare il peso del pane e con un atto di generosità personale avrebbe acquistato a sue spese il vecchio frumento riportando il peso del pane a quello precedente. Il popolo si placò.
Nell’opera ci sono vicende storiche ed eventi di pura invenzione, che ci ricordano il Manzoni de “I Promessi Sposi”. Sono presenti diversi personaggi storici catanesi coevi e della Catania precedente, mentre ci sono pure figure allegoriche come “L’Amuri patriu”, “’A Fami”, “ ‘U Malcuntentu”, che si spiegano con il contesto culturale del tempo ovvero il periodo tra la Rivoluzione Francese e il successivo periodo napoleonico nel quale, ad esempio, Vincenzo Monti faceva uso della mitologia.
Il punto di partenza è la carestia che afflisse Catania, ma Tempio poi si muove in un ambito più vasto perché la vicenda cittadina risente dei grandi eventi che maturavano in Europa come la Rivoluzione Francese e la situazione della Sicilia del Settecento con le sue gravi arretratezze da imputare soprattutto alla miopia politica e imprenditoriale dei feudatari, come ha sostenuto lo storico inglese D.M. Smith.
All’inizio de La Caristia Tempio propone se stesso come cantore della miseria e lancia, con straordinaria durezza di accenti, le sue sarcastiche invettive contro la fame. Ma il popolo è violento e le rivolte popolari, specie quando degenerano, provocano paura. Tempio, come la maggior parte degli intellettuali europei vissuti negli anni della Rivoluzione Francese, è terrorizzato dall’eventualità della violenza popolare: dalla Francia giungevano notizie di eccessi.
Mentre Tempio nel 1789 aveva recitato pubblicamente, nascondendosi dietro l’ubriacone-saggio Varvazza, il ditirambo nel quale con grande realismo rigettava le convenzioni anche rispetto all’ordine sociale e manifestava con forza il dissenso pure nei confronti di molti notabili (non lo poteva fare direttamente perché molti di questi erano suoi mecenati o amici), più tardi, alla luce delle notizie delle efferatezze rivoluzionarie, pur mantenendo un atteggiamento di partecipazione, di umanissima comprensione, di vicinanza alle ragioni dei miseri, la sua situazione, quale intellettuale, si fece più e complessa e difficile e additò nell’ignoranza la causa di ogni male (Odi supra l’ignuranza, che precede La Caristia e risente di echi pariniani). Tempio vive in tempi di riformismo illuminato.
Il popolo non deve abbandonarsi alle violenze: il problema sociale può essere risolto in chiave riformistica e con gli interventi di una aristocrazia colta, che rinnovandosi sappia accogliere le istanze sociali assumendosi il compito del cambiamento. Questo spiega l’esaltazione del Principe di Bìscari ne La Caristia.
D’altronde gli ultimi anni erano assai diversi da quando Tempio aveva iniziato la sua opera e quindi l’opera stessa riflette i differenti atteggiamenti dell’Autore in rapporto alla situazione politica, come ha ben visto Giuseppe Giarrizzo.
La Caristia, dunque, è un documento storico di un ”epopea sottoproletaria” (A. Di Grado) prima che il racconto di una vicenda umana, di una vicenda catanese inquadrata in un più ampio orizzonte. E’certamente una testimonianza umana e poetica, ma nello stesso tempo “la forza della rappresentazione di certi luoghi del poema e la correlativa carica di denuncia ne fanno egualmente la pregnante testimonianza del tempo delle rivoluzioni borghesi” (N. Mineo).