Le passioni umane e il fatalismo nell’ “Ippolito” di Euripide

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Cultura

Le passioni umane e il fatalismo nell’ “Ippolito” di Euripide

A cura di Giovanni Vecchio

In quest’opera di Euripide, come è proprio della tragedia, viene presentato, con toni molto accentuati, il contrasto tra castità ed erotismo, che rimandano alla ricerca di un equilibrio che  riesca a conciliare nella vita dell’uomo e della donna le istanze razionali e quelle emotive. Dimensioni  della vita  presenti negli esseri umani di ogni epoca, in Euripide certamente inserite nella società aristocratica del V secolo a.C., che ne alimenta gli elementi ideologici e socio-culturali e ci fa conoscere, meglio che nelle opere dei grandi pensatori greci, il contesto di vita e il vissuto interiore dei protagonisti.

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Euripide vuole con la figura di Ippolito, figlio illegittimo dell’eroe Teseo, anche lui di origine non illustre,  riscattare i figli illegittimi, molto frequenti nella società maschilista dell’epoca, che venivano considerati inferiori rispetto a quelli legittimi, volendo pertanto  dare loro  dignità umana e diritti. Questi ultimi, a prescindere dall’origine sociale,  possono incarnare – sostiene Euripide – i valori dell’onestà e della sincerità. Nella tragedia euripidea i personaggi del padre e del figlio seguono percorsi di riscatto diversi. Teseo era riuscito a riscattarsi da una vita difficile attraverso la forza d’animo, mentre il figlio Ippolito rifugge dal mondo del padre fatto di potere e di libertinismo rifugiandosi nel mondo della natura e disdegnando volutamente i rapporti con l’altro sesso. In questo rapporto si inserisce Fedra, la seconda moglie di Teseo e matrigna di Ippolito, che si invaghisce perdutamente del figliastro e se ne muore fino a giungere al gesto estremo del suicidio, la cui causa fa ricadere ingiustamente su Ippolito, che accusa in una lettera di averla violentata provocando così l’ira di Teseo, che condanna il figlio all’esilio non volendo ascoltare ragioni. Qui nella tragedia si inserisce il ruolo degli dei, sempre in contrastto tra di loro: mentre Afrodite non sopporta la decisa rinuncia di Ippolito alla relazione sessuale considerandola come un’offesa,  Artemide apprezza la vita naturale distante dalla politica e dai piaceri facili. L’intervento delle figure divine viene inteso come influsso  irresistibile per gli esseri umani che ne vengono dominati. La tragicità delle vicende non passa attraverso la coscienza individuale dei protagonisti ed Euripide mette in luce il disagio della fatalità che incombe sui viventi e il bisogno di di attingere ad una giustizia superiore che vada oltre ogni interesse, vizio o limitazione.

Ippolito di Euripide scena

Ippolito di Euripide scena

La mentalità greca, come peraltro quella romana, non avevano una concezione profonda della libertà di coscienza che si affermerà soltanto più tardi con il cristianesimo. Per risolvere questi problemi Euripide si avvale di un espediente tecnico, il famoso deus ex machina,  l’intervento esterno di un dio che rivela la verità. Certamente una soluzione artificiosa. E quando gli dei sono in contrasto tra di loro, soltanto Zeus, il maggiore degli dei,  può riportare l’ordine e ristabilire i ruoli. Dall’opera euripidea emerge anche un interessante invito a non fidarsi delle apparenze, ad esaminare con buon discerimento tutte le informazioni liberandoci dai preconcetti, in sostanza un’esortazione ad essere onesti.  La sottomissione ai capricci degli dei non era dunque nella società greca antica basata sull’ eticità, bensì sulla paura. E di questo si servivano le classi dominanti per imporre i loro modelli comportamentali e il potere politico. Altro motivo di interesse è il momento finale della tragedia con il perdono del padre da parte di Ippolito prima della sua fine e del tardivo convincimento di Teseo sulla buona fede del figlio, che inutilmente aveva tentato di difendersi dall’ingiusta accusa di aver insidiato la matrigna.Questa tragedia pone, dunque, in evidenza espetti perenni della natura umana, ma nello stesso tempo, a mio parere, reclama un superamento della visione fatalistica.

Ogni conflitto, infatti, deve trovare nella coscienza l’equilibrio necessario tra gli impulsi e la ragione in un’ottica di eticità.

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