RICORDANDO VINCENZO CONSOLO

Vincenzo Consolo foto 1

Memorie di un personaggio

A cura di Giovanni Vecchio

Incontro con lo scrittore Vincenzo Consolo alla fine degli anni Ottanta ad Acireale.
Due interessanti articoli sul quotidiano “La Sicilia” del 20 gennaio scorso dedicati allo scrittore, giornalista e saggista siciliano Vincenzo Consolo (S. Agata di Militello 18.2.1933-Milano 21.1. 2012) a dieci anni dalla scomparsa, hanno suscitato in me dei ricordi che conservo gelosamente nella memoria personale e culturale.

Vincenzo Consolo foto 1

Ovvero verso la fine degli anni Ottanta Consolo fu invitato dal preside Alfonso Sciacca al Liceo Classico “Gulli e Pennisi” per un incontro con gli studenti liceali sul tema della scrittura. Al tempo ero docente nel liceo eletto collaboratore del preside e Sciacca, non potendo per pressanti motivi familiari, intrattenere a cena ad Acireale il famoso scrittore, incaricò me di fargli compagnia per quella serata; ovviamente accettai ben volentieri. Ci recammo insieme, pertanto, in un noto ristorante acese, dove prendemmo posto in un tavolo appartato con due posti, dove fu possibile conversare liberamente nell’attesa di gustare lo “stocco alla messinese” che gli piaceva molto. Consolo era autore molto noto e i suoi romanzi e racconti trovavano un notevole riscontro nell’ambito della critica letteraria, non solo italiana, specialmente dopo “Il sorriso dell’ignoto marinaio” del 1976 pubblicato da Einaudi (rieditato da Mondadori nel 1987). Io avevo letto anche il romanzo “Retablo” (Sellerio, 1987) e “Le pietre di Pantalica” (Mondadori, 1988). Nella conversazione amichevole Consolo citò Leonardo Sciascia, come l’autore che lo indirizzò verso una scrittura impegnata e il poeta Lucio Piccolo. Tuttavia, a me interessava cogliere l’occasione per porgli una domanda che avvertivo con urgenza. “Come mai – chiesi – la sua scrittura ricorre costantemente a vocaboli e termini rari o aulici pur trattando di vicende storiche popolari come quelle del passaggio dal regime borbonico a quello unitario che culminò nella sanguinosa rivolta contadina di Alcara Li Fusi?”. La risposta è stata chiara e motivata. Mi ha detto che aveva notato nell’uso della parola un imbarbarimento e addiririttura una vera e propria “prostituzione”, che non consentiva più con il linguaggio ordinario di dare dignità al racconto. Rifiutava, insomma, l’appiattimento della lingua che la rendeva generica e banale. Tutto questo collegato ai cambiamenti epocali in corso che tendevano (ma oggi ci siamo in pieno) alla globalizzazione e alla massificazione capace di travolgere non solo i vocaboli, ma anche, assieme alle parole, la cultura materiale e immateriale dei popoli. In particolare avvertiva, come ha opportunamente sottolineato Salvatore Scalia (“La Sicilia” 20.1.2022, p. 1), “la corruzione politica e sociale, la trasformazione antropologica dei siciliani come inquinamento e lacerazione della coscienza”. Da qui la sua ammirazione per Antonino Uccello, che aveva creato la casa museo a Palazzolo Acreide “per opporsi alla frana – continua Scalia – e conservare, attraverso gli oggetti, la rappresentazione di un mondo che stava scomparendo sotto i colpi della società di massa, della produzione seriale, dell’emigrazione e dello spopolamento delle campagne”. La conversazione di quella sera tra me e lo scrittore troverà riscontro dopo qualche anno nel libro “L’olivo e l’olivastro” (Mondadori, 1994) Consolo, servendosi del simbolo dell’ulivo e dell’olivastro, voleva rappresentare la Sicilia che si trovava ad un bivio tra il coltivato e il selvatico e per questo motivo metafora dell’Italia e non solo, come diceva Sciascia. Paolo Fai (“La Sicilia” 20.1.2022. p. 13) scrive: “Se l’olivastro è segno della natura che assume le sue forme secondo un progetto noto solo a lei, l’olivo è la natura plasmata verso un fine per l’uomo. Nell’uomo, impasto di natura e storia, convivono istinto e ragione, ferinità e civiltà. Ma con quale altro termine si può indicare la ferinità? Un termine c’è, ed è egoismo …”. Ma l’intellettuale che ricerca l’equilibrio tra ragione e irrazionalità, se si limitasse ad una chiusura egoistica, si renderebbe responsabile della mancata denuncia delle ingiustizie della società. Talvolta lo stesso intellettuale rischia di rinunciare all’impegno: l’importante è che – anche quando prevale il ragionamento, non si escluda la poesia. Questa è la sostanza di una cena letteraria con Vincenzo Consolo ad Acireale. Lo scrittore dopo qualche anno darà alle stampe “Nottetempo, casa per casa”, per il quale gli fu conferito il Premio Strega.

Lettere_a_Sciascia di Vincenzo Consolo 6.12.1963

Non è compito di un breve articolo soffermarsi sulla ricca produzione letteraria dello scrittore, che comprende romanzi, racconti e interviste. Segnalo soltanto che le opere di questo illustre siciliano sono sate tradotte in francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, olandese, polacco, catalano e arabo.Morì a Milano il 21 gennaio 2012, all’età di 78 anni. GIOVANNI VECCHIO