IN “JANE EYRE” TRASPARE LA LUNGA CONFIDENZA DELLA SCRITTRICE AL SUO LETTORE

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RECENSIONI

A cura di Sara D’Angelo

 

Da duecento anni il nome Jane ci consegna il personaggio più amato della letteratura mondiale. Il romanzo di Charlotte Brontë, uscito nel 1847, è senza dubbio un capolavoro letterario tradotto in tutte le lingue del mondo.
Il romanzo è una lunga confidenza della scrittrice al suo lettore, più volte citato durante il racconto. I primi passi della lunga stesura appaiono come un anticipo di temi che tanti anni dopo si leggeranno nei romanzi di Charles Dickens. La condizione di orfani e di collegi restrittivi, vite senza domani affidate a se stesse, sentimenti di compassione profusi e diffusi pagina dopo pagina.

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JaneEyre è una piccola orfana affidata agli zii con cui trascorre i suoi primi anni di vita. La sua è un’infanzia né felice nè facile. In casa subisce continui maltrattamenti, vere e proprie vessazioni da parte dei cugini che la relegano al ruolo di gioco per passare il loro tempo ozioso. Ben presto però Jane fa il suo ingresso nel collegio di Lockwood dove riceve una rigida educazione e sopporta con malcelata indulgenza le restrizioni che insieme ad altre ottanta ragazze condivide, tutte cadute nel baratro dello sfortunato destino di essere orfane senza nessuno al mondo.

Jane ha carattere, Jane è una ribelle, il suo spirito inquieto attrae all’istante chi incrocia il suo sguardo per amicizia, per amore, per passione o per sommessa devozione. Jane è intelligente, la sua forza emotiva è invidiata dalle anime deboli che ne fanno un esempio da imitare, non è affatto bella Jane, ma il suo spiccato acume riesce bene a insabbiare la mediocrità del suo aspetto fisico, appena grazioso.
Otto anni in collegio la formano e la trasformano in una brava insegnante, Jane ha diciotto anni quando è pronta a condurre la sua vita fuori dalle mura di Lockwood. Il rigore sperimentato nel piccolo istituto diretto da Mr. Brocklehurst viene sopportato da Jane, costretta a piegare l’inclinazione ribelle del suo carattere.
In collegio Jane ha conosciuto il dolore per la perdita della sua dolcissima amica Ellen Barns, tanto diversa da lei, remissiva e docile, dotata di un’anima pura e un carattere remissivo.
Con le sue ottime referenze in qualità di insegnante, Jane non ha difficoltà a trovare un lavoro come istitutrice in una nobile dimora il cui proprietario è il signor Edward Rochester. Il compito di Jane consiste nel curare l’istruzione e l’educazione della piccola Adele Varens, una vispa bimbetta che in poco tempo diventa come un’ombra che la segue passo dopo passo in ogni momento della giornata.
La campagna inglese è un dipinto che rende superflua la più preziosa delle cornici, accoglie e si offre generosamente distesa, incurante di ogni confine, i suoi inverni però sono rigidi e lunghissimi.
“Il crepuscolo, l’ora più adatta all’idillio”.
L’occupazione preferita di Rochester e Jane è quella di ritrovarsi davanti al fuoco tutti i pomeriggi per prendere il tè intessendo lunghe e sempre più intime conversazioni.
“Lo sapevo, che prima o poi, in un modo o nell’altro, mi avreste fatto del bene. La gente parla di simpatie naturali. Ho sentito dire di spiriti tutelari: vi sono granelli di verità anche nelle favole più assurde. Buonanotte, mia cara protettrice!”
Il signor Rochester è un uomo imponente, colto, un viaggiatore e ha il doppio dell’età di Jane, ma tutte queste differenze finiscono presto col diventare scintille d’attrazione l’uno verso l’altra. È già amore.
La forza vitale di Jane plasma il cuore di Rochester, è vigorosa calamita e debole calamità per un vincolo sociale che indietreggia in un sottofondo superfluo, le loro conversazioni hanno come protagonista una seduzione sempre più fisica e sempre meno platonica.
“Non era stata mia intenzione amarlo, e avevo fatto di tutto per estirpare dal mio animo i germi dell’amore che vi avevo scovato; anche senza che mi guardasse si faceva amare”.
È un sogno destinato a non diventare realtà. Il segreto che da tempo aleggia nella dimora sta per venire a galla e lo straniero traditore sceglie il momento più solenne della vita di Jane per rivelarlo: le sue nozze con Edward Rochester. Sull’altare, vestita con un modesto abito bianco, sul capo un quadrato di pizzo che lei stessa ha ricamato, Jane scopre che il suo promesso sposo è un uomo sposato con Bertha Mason, sua moglie, viva e completamente pazza, rinchiusa nella soffitta di Thornfield Hall.
Ingannata, Jane scappa lontano da Edward e da quella casa in cui ha trovato lavoro, accoglienza, amore e un sogno infranto. Vaga per giorni senza un soldo in tasca fino a quando viene presa in cura dal vicario St. John Rivers, un religioso con il fervore della missione in paesi lontani, la sua vita, ogni sua azione è un’offerta esclusiva a Dio. Chiede quindi a Jane di sposarlo e di partire con lui per aiutarlo ad aiutare gli ultimi dell’India. I sentimenti verranno dopo, forse.
“Rinunciare all’amore è impossibile, specialmente se lo hai conosciuto”. È il cuore che parla a Jane e lei non indugia più di un minuto ad obbedirgli.

Un lampo, la corsa, la consapevolezza che il seme del suo amore per Rochester è stato soltanto seppellito per essere conservato e protetto, non per essere dimenticato. La fioritura del suo giardino felice è vicina. La decisione è veloce, Jane corre a cercarlo e quando lo ritrova, il suo fiore le appare appassito, Edward è rimasto vittima in un incendio appiccato da Bertha in uno dei suoi momenti di follia improvvisa. L’eco del suo respiro ha perso la vista, una mano e la moglie, morta suicida.
Jane ed Edward Rochester insieme, a piene mani, raccolgono dalle ceneri il loro amore, il fuoco lo ha benedetto e santificato, felici lo saranno per sempre, per sempre saranno marito e moglie.
“La nostra luna di miele risplenderà su di noi finché vivremo e i suoi raggi impallidiranno soltanto sopra le nostre tombe”.
Jane Eyre è un romanzo ma è anche un’autobiografia. Jane Eyre è una storia d’amore non romantica. L’anomalia di questo giudizio inusuale è il frutto di una comunione lenta ma decisa a intrecciare due spiriti che da sempre sono bastati a se stessi. Charlotte Brontë appronta a Jane Eyre scarpe esclusive per affrontare un lungo cammino verso l’emancipazione. Jane non si arrende mai perché Charlotte vuole fortemente che sia così, a dispetto della realtà in cui vive, l’età vittoriana, un’epoca impegnata a guardare con sospetto diritti e indipendenza.
“Posso vivere da sola, se il rispetto di me stessa e le circostanze me lo chiederanno. Non ho bisogno di vendere l’anima per comprare la felicità. Ho un tesoro interiore che mi manterrà viva anche se tutti i piaceri esterni mi saranno negati, offerti a un prezzo che non potrò accettare”.

Charlotte Brontë dona infine alla sua eroina ali per volare felice. La sua vita invece fu breve e triste, morì il 31 marzo 1855 a soli 39 anni.