“HO DIPINTO LA LUNA”. L’OPERA SIMBOLICA DEL MAESTRO ELIO RUFFO

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ARTE

A cura di Franco Di Guardo

L’opera del maestro Elio Ruffo, simbolicamente strutturata e di semplice intuizione, non è altro che il testamento artistico del maestro, dove si evince con estrema naturalezza il suo grande spessore culturale. La Luna, associata alla figura femminile, ci ricorda la Venere di Sandro Botticelli, simbolo di fecondità, di purezza, di visibilità, di segretezza e rinnovamento. Il colore blu che accarezza i toni dell’azzurro e del celeste, riempie la scena e dona serenità all’osservatore, che lo guida a captare emozioni e sentimenti profondi trasmessi attraverso le pennellate. Come nella famosa cavatina “Casta Diva”, dall’opera lirica Norma di Vincenzo Bellini, la luna illumina la notte, ed è vista come una divinità pura e santa, simbolo di potere, bellezza e mistero, dal quale il maestro Ruffo trae ispirazione.

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 Le stelle che brillano volutamente più di tutte altre, raffigurano la costellazione del sagittario, il segno zodiacale dell’artista. Sono ben visibili i quattro elementi naturali, aria, acqua, terra e fuoco, da cui già i filosofi greci fondavano le loro teorie sulla costituzione della materia. L’aria è l’energia vitale, il mare è fonte della vita, la terra è madre che accoglie la vita e la nutre, e infine la luce che alimenta, influenza e cambia le tonalità del colore. Gli elementi naturali pur essendo distinti, sono interconnessi tra loro e sull’opera giocano in modo armonico e sereno.

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 La sua amata consorte Tita, sempre presente e accanto a Elio, è rappresentata da una rosa dai colori tenui e gentili. Raffigurata nel pieno della sua fioritura, è adagiata dentro un semplice vaso di vetro con acqua cristallina, poggiato su di un tavolino con la tovaglia bianca. Il cavalletto con il suo autoritratto, è posto al centro dell’opera che, posizionato sulla riva di un mare leggermente mosso, a tratti romantico e nostalgico, ricorda i primi versi di “A Zacinto” di Ugo Foscolo:

Né più mai toccherò le sacre sponde, 

ove il mio corpo fanciulletto giacque, 

Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar 

da cui vergine nacque Venere, 

e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso”

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Il Foscolo dedica la poesia alla sua terra natia, mentre il Ruffo dedica l’opera all’amore della sua vita e all’arte, con una “celeste nostalgia” come ricordano alcuni versi della canzone di Riccardo Cocciante:

Amore mio grande, amica mia, 

Cara celeste nostalgia, 

Un’ora, un giorno, una vita

Che cosa vuoi che sia, restia mia”.

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L’opera “Ho dipinto la luna” possiede tutti gli elementi che hanno contraddistinto la vita artistica del caro amico e maestro Elio Ruffo, il quale ci invita a riflettere sul senso della vita e a guardare oltre il dipinto. Concludo questa mia interpretazione dell’opera, citando gli ultimi versi della poesia “L’Infinito” di Giacomo Leopardi:

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare”.