Roma. La città eterna.

“Il periodo di massimo splendore fu raggiunto nel II sec. con Traiano: Roma venne riconosciuta come caput mundi.”

A cura di Clara Artale

È una delle più affascinanti città al mondo. Il 21 aprile è stato festeggiato il suo 2766º compleanno.  L’accensione di tre bracieri davanti alla dea Roma in Campidoglio ha dato il via alle celebrazioni, accompagnata da vari eventi sparsi per le vie della città.

Lupa capitolina

Lupa capitolina

Roma è stata a capo del mondo, ha raggiunto le vette del potere, governato le sorti di innumerevoli genti. La sua arte ha affascinato e plasmato infiniti animi. Ha conosciuto varie forme di governo. Dapprima è retta dalla monarchia; famosi i suoi sette re. Nel 509 a.C. viene instaurata una repubblica oligarchica. Dopo aver combattuto varie guerre conquista la penisola italica, dalla zona centrale fino alla Magna Grecia. La sua egemonia raggiunge un livello ampissimo;  nel 27 d.C. Ottaviano, successore del grande Giulio Cesare, assunse il titolo di Augusto e divenne princeps civitatis; ha inizio l’Impero Romano. Il periodo di massimo splendore fu raggiunto nel II sec. con Traiano: Roma venne riconosciuta come caput mundi. Un impero stratosferico. Raggiungeva l’Oceano Atlantico, il Golfo Persico, la parte centro-settentrionale della Britannia e dell’Egitto. Fino ad allora la religione ufficiale era stata quella pagana, di derivazione greca. Erano venerati gli dei, con a capo Giove. La svolta religiosa avvenne nel 313 con l’editto di Milano: Costantino permise la libertà di culto ai cristiani.

Roma ha saputo “adattarsi” ai tempi; la sua grandezza e longevità sta in questo. I cambiamenti sono stati lenti, ma costanti. Polibio (storico greco vissuto tra il 206 e il 124 a.C.) decantò la perfezione del sistema romano; il suo buon governo era dato dall’equilibrio delle tre forme politiche “benigne”, incarnate dal consolato, dal senato e dai tribuni. Ma nella ciclicità della vita ogni cosa si rispecchia, si commisura a tale concetto. E anche la grande capitale, come un gigante ormai assopito, “perì” lentamente. Nel 476 d.C. il re barbaro Odoacre depose l’ultimo imperatore  Romolo Augusto. Fu la fine dell’Impero Romano d’Occidente. L’impero vivrà nella sua parte orientale, a Costantinopoli, fino al 29 maggio del 1453, quando gli ottomani conquisteranno la città.

Nel suo mito Roma vive un riferimento alla Turchia. Un filo invisibile la lega a quella terra; origini (discende da Troia, come vedremo) e fine del suo Impero (con il trasferimento a Costantinopoli).

Riscopriamo la storia della sua “nascita”.

Lo storico latino Varrone ci narra che Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. Mito e storia si mescolano per dare vita a una delle leggende più incantevoli. Plutarco (storico greco vissuto tra il 46/48 e il 125/127 d.C.) è la nostra fonte: Romolo, discendente della stirpe reale di Alba Longa, da Silvio, figlio di Lavinia e Enea (l’eroe troiano giunto nel Lazio dopo la caduta di Troia), fu il suo fondatore. Virgilio nell’Eneide ci narra dell’eroe troiano, figlio della dea Venere, fuggitivo dalla sua città in fiamme, accompagnato nel suo viaggio dal padre Anchise e dal figlio Ascanio; prima di giungere nelle coste italiche approda a Cartagine, per volere della dea Giunone adirata contro lui. Qui viene accolto dalla regina Didone, che se ne innamora follemente; regnano insieme per un anno. Per ordine del Fato e di Giove però Enea deve ripartire. Didone disperata si suicida. Secondo la tradizione, da qui nasce l’avversione tra Roma e Cartagine.

Marte e Venere

Marte e Venere

Sorvoliamo sulle battaglie che ci furono successivamente e giungiamo alle nozze tra Enea e Lavinia; verrà fondata la città di Lavinio. Operiamo un salto nel tempo e focalizziamoci sulla storia dei discendenti di questa coppia mitica. Ad Alba Longa il legittimo erede al trono, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio; l’usurpatore costringe la figlia di Numitore, Rea Silvia, a diventare vestale, per impedirle di generare un probabile erede al trono. Marte, il dio della guerra, si invaghisce della ragazza, il cui grembo recherà il frutto della loro unione. Due gemelli vedranno la luce. Romolo e Remo. Amulio, scoperto l’accaduto, ordina l’uccisione dei due bambini. Il servo che dovrebbe mettere fine alla vita dei due gemelli ha pietà dei piccoli e li abbandona sulla riva del fiume Tevere. La cesta tocca la palude Velabro, tra il Palatino e il Campidoglio,  nei pressi di una grotta. Qui vengono allattati da una lupa che aveva perso i propri cuccioli; i vagiti dei piccini calamitano l’attenzione dell’animale. Secondo alcune tradizioni, sotto le spoglie della lupa si celerebbe la figura di una prostituta. Il pastore Faustolo, trovati i piccoli, li alleva come propri figli insieme con la moglie Acca Larenzia (probabilmente chiamata Lupa dagli altri pastori perché prostituta). Cresciuti, i due gemelli vengono a conoscenza della loro discendenza regale; tornano ad Alba Longa e consegnano il potere al legittimo re, Numitore. I gemelli ottengono di poter fondare una nuova città «nei luoghi in cui erano cresciuti», come riporta ancora Plutarco. Romolo vorrebbe chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, Remo invece Remora e innalzarla sull’Aventino. Tito Livio ci racconta che, essendo gemelli, nessun criterio di primogenitura era valido; dovevano dunque interrogare gli auspici. Remo vide per primo 6 avvoltoi, Romolo 12. I gruppi sostenitori dei due avversari scatenarono una rissa. Remo avrebbe scavalcato il pomerium, cioè il solco sacro; Romolo colpì a morte il fratello aggiungendo «così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». Romolo prese il potere.

Secondo una tradizione antica, una città aveva 3 nomi: uno sacrale, uno pubblico e uno segreto. Roma è quello pubblico e Flora (o Florens) il religioso. Quello segreto tale è rimasto anche se probabilmente era il suo palindromo, cioè Amor, amore, dedica segreta della città a Venere. Si ricollegherebbe dunque al mito di Venere Genitrice.

Dunque Roma “nasce” sotto il segno dell’amore e della guerra, grazie agli dei che l’hanno “generata”, Venere e Marte. Mi torna alla memoria un favoloso gruppo marmoreo del II sec. d.C., oggi al Louvre, “Venere e Marte”. Gli dei stanno accanto,  dialogano in un silenzio infinito, vivono l’eternità della loro unione. Venere è protesa verso Marte mentre lo sguardo del dio è impassibile, proiettato oltre l’osservatore.

Roma, nella magia della sua essenza, vivrà in eterno… ce lo ricorda il suo nome segreto “Amor”,  “negazione di morte”.