Trenta anni senza Sciascia

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Memorie di un personaggio

A cura di Rosalda Schillaci

 

Trenta anni senza Sciascia. “Una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano”.

 

 

 

 

 

Tra una folla di scrittori seduti su certezze, le grandi aquile svettano tra i dubbi. Nel movimento è difficile metterli a fuoco, occorre trattenere il fiato per fissarli nitidi sulla carta.

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“Gli occhi di Sciascia sono monadi chiuse che hanno visto tutto”, così il grande Gesualdo Bufalino, ha voluto seguire le linee guida dello sguardo su Leonardo Sciascia.
Così, noi proviamo a immaginarne l’entusiasmo in orizzonti ampi, cieli poco battuti da altri.
I manoscritti del grande autore pare vederli, quasi muovere da Racalmuto, Sicilia, verso Torino. Accolti nelle candide stanze dell’Einaudi in via Biancamano nel 1960. È Italo Calvino, – scrittore affermato ed editor della prestigiosa casa editrice, – a ravvisarne in nuce le qualità di uomo e di letterato, quando ne coglie “vivacità visuale, finezza letteraria, abilità, scrittura senza fronzoli, gusto dell’esperimento.”

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Non possiamo non chiederci come le immagini della letteratura di ieri, debbano discutere con le analisi spesso superficiali, di oggi.
Non esiste nulla di superfluo nella scrittura schietta di uomini nati per scrivere. Uomini con grandi visioni, cronisti di aspetti umani e fenomeni culturali diventati globali. Esplosioni di punti di vista che non si accontentano, sperimentano un filo conduttore.
Come nelle migliori filosofie, i tempi sono precisi in scalette scritte a più mani, ma assurgono spietati se escono fuori da schemi. Ne “Il giorno della civetta” così Sciascia intuisce delle vicende umane: “ io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre.”

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Figura complessa Sciascia, è delittuoso raccontarlo non tenendo conto dell’aspetto umano, ben acceso allo sguardo, da Enzo Biagi: “Sciascia ama la solitudine: non sa guidare l’automobile, sul caminetto ci sono dei libri, alle undici di sera già riposa. La signora Maria non ha mai avuto bisogno di una domestica. Qualche volta va lui a fare la spesa. Hanno poche necessità: accendono la televisione soltanto quando si elegge il presidente della repubblica, e non funziona.”
Ecco una proiezione in bianco e nero degli anni ’60, fino al 20 novembre 1989 quando lo scrittore, saggista, giornalista, politico, poeta, drammaturgo, muore a Palermo, stroncato da una rara forma di leucemia.
Ha vissuto 68 anni con un linguaggio intriso di un’idea intellettuale vissuta tra la gente. Commisture di commistioni ricche, in lui diventano responsabilità per andare oltre ciò che si ama, visionarietà e apertura alare per abbracciare mondi ristretti dal grande fiato; rimanendo in radici culturali regionali. Un grande valore tra la tensione dell’andare e l’ancoraggio per costruire strutture di parole che non cercano seconde possibilità pretendono occasioni da subito senza compromessi. I suoi testi mostrano il dolore, le incoerenze, e leggendoli non si finisce mai di crescere e pensare.
Esperire oltre preconcetti una giustizia piena di sapienza è stato un suo credo.
“Sciascia non si laureò” – racconta Andrea Camilleri – “riuscì ad avere un diploma per insegnare alla scuola elementare: riteneva che per un bambino, in Sicilia quegli anni fossero importantissimi e innovativi, tanto da diventare una sorta di assoluto. […] quando l’università di Messina voleva conferirgli la laurea honoris causa, Sciascia rispose: ‘ … perché? Già maestro sugnu’, questo sottolinea l’importanza delle scuole ‘vascie’, basse, le scuole elementari”. Maestro di se stesso amava Voltaire, Diderot e Manzoni.
La storia non compie giri su se stessa quando la letteratura accade tra uomini mai spezzati che cerca tra sguardi e silenzi, refrattaria ad anni bui in cui tutto corre veloce, spazia in superficiali luoghi comuni. Oggi festeggiamo giustamente muri abbattuti, ma il muro di Berlino – caduto nel 1989 – a distanza di trenta anni ci spinge a una riflessione: quando fu costruito nel mondo esistevano sedici muri, oggi se ne registrano ben settanta e altri se ne vogliono innalzare.
Di Leonardo Sciascia… manca il suo spirito libero, anticonformista, critico lucido e impietoso eretico come Pier Paolo Pasolini. È una generazione di scrittori illuminai che si afferma dopo la seconda guerra mondiale. Sciascia rimane nella sua amata Sicilia, amico di Bufalino e Consolo. L’amicizia della “triade siciliana” – una storia di scambi intellettuali e umani, di grande spessore – che è stata ben raccontata negli scatti di Giuseppe Leone, noto fotografo ragusano. Vederli in vivida luce, in una risata, in un cenacolo culturale, ideale scambio di idee e rapporti umani, un itinerario culturale, tra Comiso, Sant’Agata di Militello e la casa di contrada Noce a Racalmuto; consegnati e catturati per la memoria collettiva come protagonisti della cultura italiana.
Lo spirito del tempo si imprime nel novecento con un tono che racconta trame oscure con parole grevi, stratificazioni di grigi per ottundere sensi, ma in Sciascia ombre e dolori, inganni e disinganni si muovono tra volute di fumo, di una sigaretta perennemente accesa e una penna con cui scruta l’ansia dell’umano: da “A ciascuno il suo” a “Todo modo” a “Le parrocchie di Regalpetra” a “Il cavaliere e la morte” a “ Il contesto” a “Le porte Aperte” a “ La scomparsa di Majorana” a “L’affaire Moro.” Tante le opere memorabili, in cui non ha apparentemente mai giudicato la mafia, perché è andato ben oltre: l’ha svelata, spiegata, messa a nudo, ha dato voce ai silenzi.
Sciascia riposa nel suo paese natale, Racalmuto. Sulla sua tomba ha voluto incise queste parole: “ qualcosa di meno personale e più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l’Isle-Adam: ‘ ce ne ricorderemo, di questo pianeta’. E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano”.
Ma è con alcuni versi che vorremmo concludere, tratti da “La Sicilia, il suo cuore”: “ Come Chagall, vorrei cogliere questa terra […] gli alberi non nutrirono frutti agli eroi. Qui la Sicilia ascolta la vita”.