“Racconti neri”, il libro di Vincenzo Cantarella. L’intervista all’autore

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RECENSIONI ED EVENTI

L’INTERVISTA DI MARIA CRISTINA TORRISI

 

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“Racconti neri” è il titolo del libro dello scrittore Vincenzo Cantarella, pagine in cui il noir è protagonista assoluto. Quest’ultimo lavoro – che segue il romanzo “Ribelle senza causa”, presentato recentemente al Festival Giallo di Treviso – è una raccolta di nove racconti che hanno il pregio di tenere il lettore in un continuo stato di suspense. “Un piacevole” stato di tensione che accompagna ad una lettura “tutta d’un fiato” per scoprire con grande curiosità l’esito di ogni storia. Diverse le vicende: dal comico al drammatico, sino a storie che rasentano la follia.

Ospite di Nuove Edizioni Bohémien, è Vincenzo Cantarella che ho voluto incontrare per una intervista.

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1 Vincenzo, complimenti per questo nuovo lavoro. Perché la scelta dei racconti piuttosto di un romanzo?

In realtà, c’è stato tutto un periodo di tempo in cui mi venivano soprattutto idee adatte a racconti. Si trattava di storie noir, fantastiche e intimistiche che in un primo tempo avevo inserito in un’unica raccolta. In seguito, mi sono reso conto che era più corretto separare i racconti noir e gotici dagli altri, per cui ho creato due distinte raccolte che ho proposto all’editore Scatole Parlanti. La casa editrice ha preferito pubblicare i noir, con la motivazione che “si vendono di più”, mentre per i racconti intimistici sto cercando in questo momento un editore. Per compilare i racconti noir ho cercato di fare molto esercizio di stile e, nell’opera di rifinitura, mi sono reso conto che scrivere dei racconti è molto difficile, più che per i romanzi. Il racconto non tollera divagazioni e cali di ritmo, una parola di troppo e si rovina il risultato finale.

Vincenzo Cantarella

Vincenzo Cantarella

2 Ne “Racconti neri”, quanto hai usato gli elementi:  paradosso e fantasia per la descrizione dei contesti e dei personaggi?

Nella raccolta ci sono almeno tre racconti che sconfinano nel gotico e nel fantastico: parlo di Appia Antica, dell’incubo kafkiano di “Globuli verdi” (un protagonista innocente diventa vittima delle circostanze) e del surreale “Poveri resti” in bilico tra horror e eco-vengeance. Ma il paradosso si coglie soprattutto in “La Punizione”, dove il colpevole di un delitto passa in realtà i momenti peggiori dopo esser stato fortunosamente scagionato. Un po’ come in “Delitto e Castigo”, il rimorso e la vergogna prevalgono in lui, facendolo scivolare negli abissi della pazzia. Un destino paradossale colpisce anche il protagonista di “Io ho ucciso”, una storia triste dei tempi del Covid che ha ripreso in forma romanzesca una casistica che purtroppo è stata tutt’altro che rara.

3 Quale figura ti ha ispirato maggiormente e perché?

In numerosi racconti mi sono ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti. Per esempio, “Il Rappresentante” prende spunto da un delitto che mi aveva colpito quando ero ragazzino. Anch’esso originato da una lite automobilistica, mi aveva impressionato così tanto che non l’ho mai dimenticato. Altri, invece, sono di pura fantasia, e in essi ho cercato di immaginare come una persona tarata ma apparentemente normale avrebbe reagito in circostanze estreme. In questo filone rientra innanzitutto il racconto “L’amore perduto”, ma è un tema che interessa trasversalmente molti altri racconti, da “La Punizione”  a “Due fratelli”. Quest’ultimo è un racconto che amo molto perché realizza una sorta di indagine psicanalitica a ritroso nel tempo. Un racconto che si svolge in poche ore e racchiude in quattro pagine tutta una vita di incubi.

4 Quanto è importante per te il valore della denuncia? Alcune storie credo siano nate con questo intento. Una in particolare riguarda il contesto acese. Parliamone.

Con “Poveri resti” ho fatto un non casuale sconfinamento in ambito ambientalista, immaginando un mostro posto a tutela della riserva naturale della Timpa, così spesso oltraggiata. Le sue vittime predilette erano, ovviamente, proprio coloro che offendono tale riserva. Lo stesso protagonista, prima indifferente  – fumava tranquillamente nel bel mezzo della macchia mediterranea – subisce uno choc che ne modifica radicalmente i comportamenti e conduce al finale. Ma è possibile anche una diversa lettura: il protagonista Raffaele, stanco della vita, aveva immaginato l’incontro chiave?

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5 Alcuni racconti mostrano una violenza più inusuale in determinati personaggi. Perché?

Il racconto che chiude la raccolta “Nera è la morte” è certamente più crudo e violento degli altri. Ho seguito questo preciso intento nel scriverlo perché volevo sperimentare almeno due sfide narrative: da una parte, scrivere un noir estremo, spietato, disperato; dall’altra, dar voce in prima persona a una protagonista femminile, vittima e autrice di abusi. A mio parere, i punti forti del racconto stanno nel ritmo incalzante e, soprattutto, nella complessità del personaggio principale che, da appassionato di cinema quale sono, ho in parte preso in prestito dalla protagonista del film “Million Dollar Baby”. Non si può infatti non avere simpatia per la poliziotta Tina, per la sua purezza d’intenti nella lotta al crimine e per il suo triste passato vissuto a testa alta, ma allo stesso tempo il lettore si rende ben conto che i comportamenti della donna sono inaccettabili per un tutore dell’ordine. L’inconciliabilità tra le due istanze porta, così, all’inevitabile conclusione. La casa editrice riteneva molto potente questo racconto, tanto che avrebbe dovuto a suo avviso essere piazzato in apertura e dare il titolo all’intera raccolta. Ho preferito una diversa soluzione per non correre il rischio che il lettore, letto il primo racconto, trovasse blandi e scoloriti gli altri. Posto alla fine della raccolta, questo racconto ne diventa invece il climax. L’editore ha abbozzato, se ho sbagliato o meno in tale scelta lo diranno i lettori.

Vorrei sottolineare che pure in “Globuli Verdi” vi è una violenza efferata, trasposta in un imprecisato prossimo futuro distopico: la violenza dello Stato contro l’individuo. Ma non è meno violento il perfido comportamento di Claudio Giustolisi, e molti altri. La violenza, purtroppo, fa parte dei comportamenti umani e parlarne è un modo per metterne in evidenza l’inutilità. I noir non finiscono mai bene, vi perdono tutti, vittime e assassini.

6 Illusione e disillusione sono spesso componenti essenziali.

In “L’amore perduto” la componente illusoria gioca un aspetto determinante nello svolgimento degli eventi. Il suo protagonista Claudio Giustolisi mostra fino in fondo la sua natura schizofrenica: compare in televisione, è piacente, colto e ammirato, è l’idolo delle

donne, ma in realtà le odia per i suoi antichi problemi irrisolti. Il suo amore idealizzato è una mera illusione, che una volta infranta determina la tragedia. Ma il tema illusione/disillusione compare anche in altri racconti e in un po’ tutti i thriller con risvolti

psicologici o psicanalitici (nel claustrofobico “La punizione”, nel crudele “Due fratelli”, e in tanti altri).

7 Perché affascina così tanto la narrativa noir?

Credo che il sottogenere noir sia il più letterario dei vari filoni delle crime o detective story (in Italia “i gialli”), perché scandaglia il male e i suoi effetti, e mette in luce che esso alligna anche in persone apparentemente normali. A mio avviso, il genere esprime con efficacia anche l’inquietudine priva di sbocchi del mondo moderno. Va detto che la scrittura di un noir è particolarmente difficile perché in esso sono determinanti l’ambientazione, inquietante o in apparenza placida (il lago dei “Due Fratelli”), e il ruolo del destino, se non del caso. Tutto ciò piace al pubblico, naturalmente, anche perché il lettore si sente migliore dei protagonisti e si accorge di vivere situazioni meno tragiche di quelle descritte nella finzione, esorcizzando così lo stesso male. Per esempio, il protagonista della commedia nera  d’apertura, “Il Rappresentante” Saverio Perricelli, gaudente e impunito farfallone, finisce per essere vittima delle sue banali smargiassate invece che del suo incallito libertinaggio. Vista la sua condotta, descritta con un tono divertito che però annuncia la tragedia, il lettore viene indotto a immaginare tutt’altra conclusione. Ma la realtà supera la fantasia ed è molto più cruda.

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8 Cosa altro hai in mente di scrivere?

Come ho detto in precedenza, ho già pronta una raccolta di racconti di narrativa generale. Ho anche scritto una spy story romanzesca e un romanzo che mescola i generi letterari, un po’ romanzo di formazione, un po’ mystery, un po’ fantasy. Cerco di capire quali di questi prodotti possano avere appeal per un’editoria che mi pare troppo orientata verso generi e situazioni predefinite, se non standard. A vedere i risultati, pare che gli editori, o almeno quelli medio-grandi, siano alla ricerca di prodotti di agevole assorbimento da parte di una clientela di bocca buona, poco competente ed esigente. In sostanza, partono dal presupposto che non esista (o sia assai ridotta) la quota di lettori “evoluti” in grado di apprezzare prodotti più complessi. Ma le cose stanno veramente così? Lo stato dell’arte è la causa o è l’effetto di simili convinzioni? Durante il Festival del Giallo di Treviso, al quale sono stato invitato e dove ho avuto l’onore di conoscere veri cultori della materia, l’argomento è stato ampiamente toccato, e qualche relatore ha sottolineato il pericolo di un’editoria troppo incline a schematismi o ad appoggiare soltanto il mainstream. Ai posteri l’ardua sentenza.

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