LE ODI

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LE ODI
A cura di Ludovico Anastasi

 

L’ATTESA

Dovresti tornare come madre sollecita al tuo nido. Nei secoli dei secoli inascoltato ripetuto richiamo. Non far si che l’ultimo degli appelli sia il piu’ disperato. All’Io Sono Colui che E’, non fa stile trovare vuoto il suo nido.

 

FEROCE INSONNIA

Mi ci vorrebbero tavolozza, pennelli, colori e tela. Scrivere non basta, non rende l’idea esatta, non fa giustizia dello stigma. Nemmeno una foto sarebbe veritiera, ne’ possiedo una buona macchina fotografica. Che scena stupida! Io i chicchi d’uva, il trancetto con nutella, le volute di fumo delle sigarette e la verita’, quella vera, a me stesso ignota. Ditemi: quale la penna per tanta ignominia? Forse sarebbe meglio prendere tutto, la morte stessa, la sua idea, molto alla larga.

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E appoggiato alla ringhiera della mia storia penetro il silenzio d’essa, oggi urlante cronaca d’affanni e di memoria ancorata alle belle sere con le dolci cantilene della nonna. E in quelle m’accomoderei perennemente se solo sapessi titillare la vanita’ delle stelle.

 

Ed ora, al punto della discesa, mi pesa ancor di piu’ la fatica a volte scansata per non sbucciar le ginocchia, per non dover dire tre volte a me stesso: fatica persa. Se ce l’avessi messa tutta il calar della sera sarebbe stato ben altra metafora.

 

E se tu mi chiedi, anima mia, perche’ poso il cappello marrone a falde tese sulla mensola del televisore, penso sia un benevolo teatro che ti faccio per distrarti dalle cose amare e con tante scuse che ci si rallegri solo in ore rare.

 

E trituriamo parole su parole, antica tenera babele, per sentirci meno soli. E ci restiamo, digrignando i denti sui letti odiati, che’ si avrebbe voglia di correre, silenti, incontro alle albe.

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