SANREMO 2017, OPINIONI

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Recensioni ed Eventi

A cura di Antonino Leotta

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Ogni anno tornano puntuali le opinioni contrastanti sul Festival di Sanremo. Da un lato c’è chi continua ad accusare un eccessivo sperpero di denaro o chi la giudica una rassegna troppo etichettata. Dove, senza dubbio, giocano interessi pilotati di case discografiche. Dall’altrolato, c’è anche chi trova piacevole un festival che ha una sua storia e che riesce ancora a lanciare qualche motivo interessante. E, soprattutto, qualche testo che dice e lascia qualcosa.
Se riusciamo a guardare il “bicchiere mezzo pieno”, dobbiamo riconoscere che quella di ieri sera (terza serata) ha avuto una valenza particolare. Abbiamo assistito, anzitutto, alla esibizione del Piccolo coro dell’Antoniano di Bologna. Che ci ha riportato a una infanzia che appartiene a tutti.
E, a loro, ha fatto seguito la presenza della piccola “Orquesta Reciclados Cateura” che usa strumenti costruiti con materiali recuperati nella discarica vicina al territorio dove i ragazzi sono cresciuti. Queste due presenze, assieme a quelle di due anziane donne (una ostetrica di 92 anni e un’altra ospite di 105 anni), ci hanno fatto percepire che la musica appartiene a tutti.
La rassegna di una sequenza di canzoni che io definirei “canzoni di sempre”, ci ha immersi in un’atmosfera di piacevoli ricordi. Perché la musica -anche quella di un canzoniere leggero- fa parte della nostra vita. Accompagna i nostri pensieri, le nostre emozioni e i nostri sentimenti. Ci aiuta ad affrontare il quotidiano e non può mai impoverirci. Anche se, talvolta, distrae dai drammi che si consumano accanto a noi. Ma, riguardo a questo, il successo assegnato al giovane Ermal Meta che ha riproposto con impegno e passione il celebre motivo “Amara terra mia” lanciato da Domenico Modugno nel lontano 1962, ci ha fatto rivivere un problema di grande attualità: l’emigrazione.
Mi piace rileggere il testo:
Sole alla valle, sole alla collina,
per le campagne non c’è più nessuno.
Addio, addio amore, io vado via
amara terra mia, amara e bella.
Cieli infiniti e volti come pietra,
mani incallite ormai senza speranza.
Addio, addio amore, io vado via
amara terra mia, amara e bella.
Tra gli uliveti nata è già la luna
un bimbo piange, allatta un seno magro.
Addio, addio amore, io vado via,
amara terra mia, amara e bella.

Già, un po’ prima, alla richiesta dei presentatori ai bambini dell’Antoniano su quale motivo “cover” intendevano proporre, i piccoli avevano risposto con un testo dei “Ricchi e Poveri” del 1972 che riguarda qualcosa che ci preoccupa tanto ancora oggi:

Che sarà, che sarà, che sarà.
Che sarà della mia vita chi lo sa.
So far tutto o forse niente, da domani si vedrà,
e sarà, sarà quel che sarà.